Recensione su Gunki hatameku motoni

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Sotto la bandiera del Sol Levante scorre il sangue / 8 Giugno 2011 in Gunki hatameku motoni

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il prezzo che il Giappone dovette pagare per il proprio coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale fu altissimo: a causa del conflitto, infatti, morirono ben 3.100.000 giapponesi. I civili deceduti furono 900.000, mentre nell’esercito si contarono qualcosa come 2.200.000 perdite. Tra questi ultimi vi era un sergente che si chiamava Katsuo Togashi. Egli però non morì in battaglia: infatti, nell’agosto del 1945, mentre era impegnato a combattere in Nuova Guinea, venne giustiziato da un plotone di esecuzione perché ritenuto colpevole di diserzione.
La vedova del sergente in questione, Sakie, quando ricevette la notifica con cui l’esercito le comunicava la morte del marito, si rifiutò di credere che egli potesse essersi reso responsabile del reato per cui venne condannato a morte. Nel 1952, sette anni dopo la fine del conflitto bellico, il governo giapponese approvò una legge che stabiliva che le vedove di guerra, in quanto tali, avevano diritto ad una pensione che le aiutasse economicamente ad affrontare le difficoltà quotidiane causate dalla perdita dei propri cari.
Avendo perso il marito al fronte, la signora Togashi si presentò al Ministero del Welfare per chiedere che le venisse concessa la pensione come vedova di guerra, secondo quanto stabilito dalla legge. La sua richiesta, però, venne respinta. La stessa sorte le toccò a seguito delle domande inoltrate negli anni successivi. Il 15 agosto (non conoscendo il giorno esatto della morte di suo marito, scelse quella data perché simboleggiava la fine della guerra siglata dalla firma dell’armistizio) di ogni anno ella si presentava continuamente al medesimo ufficio chiedendo che venisse accettata la sua richiesta ma ogni volta la risposta era sempre negativa.
Nel 1971 sono ormai passati ventisei anni dalla morte del sergente Togashi: sua moglie, però, non si è ancora data per vinta e si ripresenta così per l’ennesima volta al Ministero del Welfare affinché le venga concessa la pensione, ma anche questa volta le rispondono di no; la legge a cui lei fa riferimento dice, inoltre, che alla vedova non spetta alcun tipo di indennizzo se un soldato è morto giustiziato dopo essere stato processato e condannato dalla corte marziale.
Siccome dalle carte dell’esercito risulta che Katsuo Togashi sia stato fucilato dopo essere stato giudicato colpevole di diserzione dalla corte marziale, sua moglie non può avanzare nessuna richiesta di risarcimento.
Di fronte all’ennesimo rifiuto ricevuto, la donna, sempre più provata e delusa a causa delle continue umiliazioni subite, si oppone con tutte le poche forze che ormai le sono rimaste, e riesce così ad impietosire un impiegato, che le consiglia di provare a parlare con quattro ex soldati che durante la Seconda Guerra Mondiale hanno combattuto insieme a suo marito. Se anche uno solo di loro riuscisse a dimostrare che il sergente Togashi non è stato un disertore, lei avrebbe finalmente diritto alla pensione.
Tsuguo Terajima, Tomotaka Akiba, Nobuyuki Ochi e Tadahiko Ohashi: sono questi i nomi delle quattro persone che potrebbero aiutare Sakie a scoprire la verità sul marito. Tsuguo si è ridotto a vivere in una lurida baracca ai margini di Tokyo, Tomotaka fa l’attore teatrale, Nobuyuki è diventato cieco, Tadahiko è un insegnante; ognuno di loro darà una versione diversa dei fatti e a seconda dei loro racconti di volta in volta emergerà un ritratto enigmatico e sfuggente del sergente Togashi. Nonostante i ricordi confusi e frammentari dei quattro, la donna riuscirà a scoprire la verità circa la morte del consorte.
Il richiamo a “Rashomon” è talmente evidente da essere inutile farlo notare: Fukasaku, però, non si è fatto intimidire dal confronto con un modello così ingombrante, tanto è vero che a sua volta ha realizzato un capolavoro che ha ben poco da invidiare al mitico film di Akira Kurosawa. Tratto da un romanzo di Shoji Yuki, “Sotto la bandiera del Sol Levante” è un rompicapo folle e agghiacciante, ricco di suoni e voci che si susseguono senza soluzione di continuità. Con l’accompagnamento dell’efficace colonna sonora di Hikaru Hayashi, Fukasaku (che sceneggia con Kaneto Shindo e Norio Osada) filma la storia di una vedova di guerra (interpretata da un bravissima Sachiko Hidari) alla disperata ricerca della verità su come sia morto il marito (un ottimo Tetsuro Tamba) con uno stile di regia virtuoso, badando soprattutto a imprimere alla vicenda narrata una furia e un ritmo pazzeschi. Quello di Fukasaku è uno stile rapsodico e concitato, ma dal fascino travolgente.
Il regista, con questa pellicola, sferra una dura critica verso l’esercito e il governo del suo Paese, il Giappone, smascherando impietosamente le falsità e le menzogne dietro le quali si nascondono sia il primo che il secondo. Mescolando generi e stili diversi, Fukasaku punta a stordire lo spettatore – riuscendoci perfettamente, tra l’altro – a colpi di flashback che si succedono vertiginosamente, di ralenti e fermi immagine, di inquadrature oblique che deformano le prospettive, di furiose esplosioni di violenza miste a momenti di poetica tenerezza, il tutto alternando continuamente il colore con il bianco e nero (la prodigiosa fotografia è di Hiroshi Segawa). Il risultato finale è un’opera violenta, eccessiva e straziante che riesce a rendere l’orrore della guerra e la sofferenza e la fatica di coloro che la combattono con un realismo a tratti davvero insostenibile (si veda, a tal proposito, l’angosciante esecuzione del soldato americano e l’impressionante scena in cui i militari giapponesi arrivano a compiere atti di cannibalismo). Coinvolgente e appassionante, brutale e feroce: in poche parole, “Sotto la bandiera del Sol Levante” è un film straordinario.

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