Recensione su Gruppo di famiglia in un interno

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Conversation piece / 16 Aprile 2012 in Gruppo di famiglia in un interno

“Conversation piece” che da il titolo alla versione inglese del film sarebbe il quadretto di famiglia che cataloga questo Visconti di fine carriera, ormai stanco e malato, nel cinema d’autore da camera in una visione quasi teatrale delle malinconie di un’epoca ormai affacciata sulle nuove rivoluzioni culturali sessantottine quasi come un’intrusione ineducata e priva di un riscontro analitico da parte di una vecchia generazione. Il regista milanese ne avverte il disagio e lo metaforizza nel personaggio del vecchio professore che ormai è in quiete attesa della sua morte sicuro di un possesso culturale stabilizzante. Può dedicarsi nella sua ricerca del nuovo nel vecchio. Le nuove generazioni vengono affrontate come invasione di ultracorpi e non nell’ambito della loro valenza. In questo lo trovo ancora moderno come film poiché questo rischio di chiusura esiste ancora e si specchia proprio in una definizione di sinistra arroccata sui suoi valori. Il personaggio interpretato da Lancaster ha un sapore autobiografico (anche a Visconti la madre lasciò in eredità un appartamento a Roma) e nei due giovani Conrad e Lietta emerge lo spettro di questo nuovo modo di vivere libertino e amorale. Il vecchio accetta l’intrusione benevolmente finché trova nuova linfa in questo menage di diversa matrice culturale, ma poi si spaventa sentendosi surclassato e superato, quasi invaso senza accettare che fischia un nuovo vento ed una nuova bufera. Di questo ha paura ed in questo annega la sua inutile malinconia.
A Visconti il merito di questa sublime autoanalisi dall’alto della sua capacità introspettiva.

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