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Gruppo di famiglia in un interno

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17 Ottobre 2014 in Gruppo di famiglia in un interno

Luchino Visconti
Gruppo di famiglia in un interno-Conversation piece.

Alla sua uscita, Gruppo di famiglia in un interno, divise la critica. Visconti era ammalato, un anno prima ebbe un ictus, e nonostante ciò aveva ancora la voglia di sottoporsi alle fatiche che accompagnano un regista nella realizzazione di un film. Il Conte Luchino si mise alla macchina da presa così, affiancato nuovamente dal virile e sempre piacevole Burt Lancaster. Un Burt Lancaster che, in caso della dipartita del regista, avrebbe portato a termine il lavoro. Questa era la clausola per ricevere i fondi, clausola fortemente voluta dai produttori. Teatrale, girata completamente in interni, l’opera ,benedetta tra l’altro da Fellini, venne completata in quattro mesi. Il film ha come protagonista un vecchio professore che vive isolato nella sua lussuosa casa, facente parte di un antico palazzo ubicato al centro di Roma. Il vecchio professore, italo-americano, altri non è che un Burt Lancaster contrapponibile (ma allo stesso tempo paragonabile) al Burt Lancaster de Il Gattopardo: vive barricato nel suo appartamento ricolmo di quadri di famiglia, Conversation Piece è non a caso il titolo inglese, in un paradiso fatto di bella tappezzeria, vive ricordando la madre, alienandosi da una realtà che sta cambiando fin troppo velocemente. Visconti analizza così la realtà italiana, si muove fra il terrorismo, la crisi politica, morale ed economica, a grandi linee sembra criticare e citare il Golpe dell’Immacolata ma questi temi sono solo toccati in modo veloce, Gruppo di famiglia in un interno infatti è un film individuale. Incentrato sulla persona di un professore di scienze che, auto-esiliatosi in casa propria, si è accorto come la scienza impiegata nell’era contemporanea in funzione della tecnologia militare e nucleare, cooperi al disgregamento umano. Il presente in cambiamento, minaccia il passato. Dunque è questo il motivo per cui il professore si è rinchiuso tra i libri in maniera ossessiva, egoistica, quasi maniacale. Al nostro rimane questo, l’esilio. Un esilio che viene interrotto da alcuni giovinastri spocchiosi, viziati, insomma dei cafoni ripuliti i quali non hanno rispetto per niente e nessuno.

Questi esseri fanno la comparsa nella quotidianità del nostro, irrompendo in modo prepotente nel domicilio e nella persona del professore. Riescono a farsi affittare l’appartamento sopra quello del personaggio interpretato da B. Lancaster, l’appartamento verrà occupato da Conrad, un ruffiano che si porta a letto la moglie di un industriale vicino agli ambienti dell’ estrema destra. Conrad anni dietro militò nei gruppi studenteschi, fece il ’68 ma ora è cambiato.. o forse no ? Conrad e il professore americano sono due santi laici, più santo il secondo del primo, due persone che instaureranno un rapporto padre-figlio. C’è addirittura chi, Alessandro Bencivenni, ha visto nel rapporto padre-figlio un rapporto omosessuale, personalmente ritengo un po’ forzata l’interpretazione ma ci può stare.
Inoltre se è vero che il nostro vuole barricarsi in casa, riducendo al minimo i rapporti con le persone, è anche vero che la paura della solitudine, di ritrovarsi a fare i conti con sé stessi e con la propria esistenza, si faranno sentire. L’opera vive sia nel rimpianto di non poter essere più giovani, senza dubbio nell’animo del vecchietto vi è un pizzico d’invidia o forse è semplicemente incomprensione derivante l’assistere ad eventi seducenti, sto parlando dell’orgia di tre giovani, sia nella memoria di tempi lontani.
Nel suo essere crepuscolare e travagliato, il professore assomiglia non tanto a Luchino Visconti quanto invece al professore protagonista dell’opera Bergmaniana Il posto delle fragole.
L’opera analizza la decadenza morale dei nostri anni, c’è spazio per una critica al consumismo, al neofascismo, e lo fa mescolando toni altisonanti (la regia, il tema e la fotografia sublime di Pasqualino De Santis) e toni “bassi” come il sottofondo musicale La mia solitudine scritta da Malgioglio durante la sequenza dell’orgia dei tre giovani a casa del professore.
Il film ve lo consiglio, è un prodotto che andrebbe visto almeno una volta nella vita, ha un suo tempo e ogni figura introdotta ha uno spazio narrativo con un proprio peso specifico.

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Conversation piece / 16 Aprile 2012 in Gruppo di famiglia in un interno

“Conversation piece” che da il titolo alla versione inglese del film sarebbe il quadretto di famiglia che cataloga questo Visconti di fine carriera, ormai stanco e malato, nel cinema d’autore da camera in una visione quasi teatrale delle malinconie di un’epoca ormai affacciata sulle nuove rivoluzioni culturali sessantottine quasi come un’intrusione ineducata e priva di un riscontro analitico da parte di una vecchia generazione. Il regista milanese ne avverte il disagio e lo metaforizza nel personaggio del vecchio professore che ormai è in quiete attesa della sua morte sicuro di un possesso culturale stabilizzante. Può dedicarsi nella sua ricerca del nuovo nel vecchio. Le nuove generazioni vengono affrontate come invasione di ultracorpi e non nell’ambito della loro valenza. In questo lo trovo ancora moderno come film poiché questo rischio di chiusura esiste ancora e si specchia proprio in una definizione di sinistra arroccata sui suoi valori. Il personaggio interpretato da Lancaster ha un sapore autobiografico (anche a Visconti la madre lasciò in eredità un appartamento a Roma) e nei due giovani Conrad e Lietta emerge lo spettro di questo nuovo modo di vivere libertino e amorale. Il vecchio accetta l’intrusione benevolmente finché trova nuova linfa in questo menage di diversa matrice culturale, ma poi si spaventa sentendosi surclassato e superato, quasi invaso senza accettare che fischia un nuovo vento ed una nuova bufera. Di questo ha paura ed in questo annega la sua inutile malinconia.
A Visconti il merito di questa sublime autoanalisi dall’alto della sua capacità introspettiva.

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