Convenzionale film sull’amicizia / 2 Giugno 2021 in Gli eletti

Ambientato a Brooklyn nel 1944, Gli eletti è un film tratto dal romanzo semiautobiografico Danny l’eletto (1967) di Chaim Potok (la cui bibliografia intendo recuperare da un po’, grazie anche a un consiglio lanciatomi tempo fa, qui sul sito: https://www.nientepopcorn.it/film/disobedience/recensioni/come-in-un-romanzo-di-potok/).

Caratterizzato da una narrazione molto ordinata e da una sufficiente ricostruzione d’epoca, Gli eletti è un film “rassicurante” sui temi della crescita e dell’amicizia ambientato nella comunità ebraica di New York, di cui, qui, vengono rappresentate almeno due facce: quella ortodossa, a cui appartiene Danny (Robby Benson), e quella sionista, in cui vive Reuven (Barry Miller).
Dopo una iniziale antipatia, incuriositi reciprocamente dai diversi stili di vita e dal fatto che, pur appartenendo allo stesso contesto culturale e religioso, sembrano esistere in universi paralleli e distanti, i due giovani protagonisti diventano amici e iniziano a condividere sogni e aspirazioni.

Tutto sommato, benché (positivamente) molto convenzionale, il film scorre placido, finché non subentra la questione della nascita di Israele. La costituzione dello Stato israeliano genera un conflitto tra i protagonisti (ma non dentro i protagonisti). Però, non sembra sollevarne qualcuno nello sceneggiatore Edwin Gordon (in Potok, non so: lo scoprirò quando leggerò il suo romanzo).
La delicata questione della fondazione dello Stato di Israele ai danni dei palestinesi (pericolose entità senza volto, né -pare- causa) non ha alcuna valenza che vada al di là della sua utilità drammaturgica: è un pretesto per inserire un motivo di dissonanza nell’amicizia spassionata tra i due protagonisti. Tant’è che, improvvisamente, la questione si dissolve, senza aggiungere o togliere nulla al loro rapporto e mostra i limiti di una sceneggiatura ben poco ispirata.

Risulta incolore e poco più che aneddotica anche la rappresentazione della comunità ebraica ortodossa di New York, affidata perlopiù alle peculiarità del personaggio del rabbino Saunders interpretato da un pur efficace Rod Steiger.

Nota a latere: ho visto il film su Prime Video. L’edizione in questione è caratterizzata da una pessima traccia audio (peraltro, l’unica disponibile sulla piattaforma). I rumori di fondo sono totalmente azzerati (perciò, tutto si svolge in un assurdo silenzio artificioso) e il doppiaggio, piatto e incolore, è abbastanza imbarazzante (si salva a malapena la prova di Vittorio Guerrieri, per intenderci “la voce di Ben Stiller”, chiamato a doppiare Benson-Danny). Non nego che, in qualche modo, la sgradevolezza dell’audio abbia inciso su questa esperienza di visione.

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