Recensione su Ghost in the Shell

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La rete è vasta e immensa / 9 Ottobre 2013 in Ghost in the Shell

Tratto dall’omonimo manga di Masamune Shirow, Ghost In The Shell è una pellicola del 1995 diretta dal regista Mamoru Oshii. Riflessivo e a tratti filosofico, GITS si colloca tra le opere cyberpunk più influenti nella storia dell’animazione. Non a caso film del calibro di Matrix dei fratelli Wachowski, hanno tratto ispirazione da questo vero e proprio gioiello cinematografico.
I colori cupi e dai toni freddi, le musiche quasi oniriche, sono solo alcuni degli elementi che si sposano alla perfezione con un’ambiente futuristico dove il rapporto tra uomini e macchine è separato da una linea sottile.
Notevole la caratterizzazione della protagonista, il maggiore Motoko Kusanagi, che è esaltata dal suo rapporto complesso con il suo essere. Nonostante ella sia un’unità cibernetica completa (il suo corpo, infatti, è un completo rivestimento di titanio e il suo cervello è sostanzialmente artificiale), la sua mente è talmente avanzata da permetterle di porsi continui interrogativi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con l’ambiente esterno. E in un mondo dove l’uomo e la macchina sono ridotti ad un ibrido, dove la consapevolezza di ognuno di essere quello che dovrebbe essere a priori (uomo o macchina) è stabile sulle pendici dell’insicurezza, questo aspetto del suo carattere emana un forte impatto sullo spettatore, proprio perché terribilmente in sintonia con questo assurdo 2029.
Visione straconsigliata. A prescindere se si è o meno amanti del cyberpunk.

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