Geolocalizzato / 3 Maggio 2017 in Scappa: Get Out
Non so se, qui da noi, Get Out avrà lo stesso trascinante successo che ha riscosso negli Stati Uniti, dove il film di Peele è stato apprezzato a destra e a manca soprattutto per via del suo originale humour grottesco che, in maniera decisamente atipica, affronta il problema del razzismo (e dell’antirazzismo, se vogliamo) nella società liberal americana contemporanea: in questo senso, sicuramente, si tratta di un horror anticonvenzionale nella contestualizzazione, non certo nello sviluppo narrativo, versante sul quale, non troppo lontanamente, mi ha ricordato certi film a tema hoodoo come The Skeleton Key e Jessabelle.
Le sue caratteristiche fondanti e i suoi punti di forza di natura socioantropologica, però, contengono delle sfumature tanto precipue da renderlo un prodotto “geolocalizzato”, apprezzabile in toto solo da chi -ovviamente dotato della giusta sensibilità- vive direttamente le dinamiche e le contraddizioni di quella specifica situazione o, pur non appartenendo apertamente a quel contesto, lo conosce approfonditamente per motivi di lavoro e/o di studio, per esempio.
Questo per dire che la pellicola è sì intrigante (un horror sociopolitico: ci sta), ma, vista la sua “esclusività” -a parer mio- non è, come dire, pienamente fruibile al di fuori dei confini statunitensi.
Tra i suoi pregi “neutri” (ma, parliamoci, niente di trascendentale), annovero la divertita critica all’uso sconsiderato delle notizie apprese “senza filtro” attraverso i mass media (“L’ho visto in tv, quindi è vero!”. E meno male che non viene detto: “L’ho letto su Facebook!”) e la rappresentazione della congrega wasp, composta pressoché esclusivamente da vecchi con un piede nella fossa che, se proprio devono riconoscere un pregio agli afroamericani, rendono loro merito della propria conformazione fisica e del proprio patrimonio genetico per puro interesse personale.
Ottima la resa tecnica, con una regia e una fotografia pulitissime e una colonna sonora molto interessante.
Bravi anche gli attori: se Daniel Kaluuya fa sufficientemente bene il suo dovere per mettere in scena lo smarrimento incredulo del protagonista alle prese con una situazione spinosa e LilRel Howery è perfetto nel ruolo dell’amicone complottista, a tratti gli Armitage riescono a mettere i brividi. Catherine Keener, Bradley Whitford e, soprattutto, l’inquieto Caleb Landry Jones riescono a suscitare un certo disagio. Purtroppo, intravisto il complotto, il plot twist legato all’irritante (a ragione) personaggio di Allison Williams è davvero telefonatissimo.

Un film che si regge sulla mirabile interpretazione dei suoi caratteristi, non avvalendosi, appunto, di una sceneggiatura originale, o di un concept innovativo. Debbo scrivere che, pur apprezzando la pellicola, ho trovato alquanto immoderata la critica americana, che l’ha dipinta come un vero e proprio capolavoro, ma va beh, de gustibus non est disputandum
@inchiostro-nero: già!