Recensione su Gatta Cenerentola

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Poesia e miseria / 25 Settembre 2017 in Gatta Cenerentola

Dopo L’arte della felicità, che, insieme a riflessioni e a ricche suggestioni visive, offriva uno sguardo originale sulla città di Napoli, Rak e soci restano negli stessi luoghi per raccontare una storia di sangue, dolore e violenza che, futuribili elementi tecnologici a parte, sembra vivere fuori dal tempo.
Attingendo alla tradizione fiabesca partenopea, quel Cunto de li cunti di G. Battista Basile che, in tempi recenti, ha affascinato anche Matteo Garrone, la Mad Entertainment ha imbastito un racconto cupo in cui si mescolano in maniera molto interessante poesia e miseria.
Dopo la morte di un suo illuminato figlio, lo scienziato Vittorio Basile (riuscito incrocio, non solo nominale, fra De Sica e l’autore della novella ispiratrice), Napoli è una città post-apocalittica su cui gravano le brame di un personaggio orribile come ‘O Re e una perenne pioggia di fuliggine: colpa del Vesuvio fumante, che pare pronto a un repulisti imminente di questa “sin city”, o memoria dei fuochi d’artificio che hanno accompagnato la morte di Basile?

Mia/Cenerentola, la figlia di Basile, è una ragazzina orfana, muta e analfabeta che, da quindici anni, vive in balìa di una matrigna che, a dirla tutta, è ben più gatta di lei: madre di sei figli senza padre, bella e dolente nonostante la depravazione morale in cui sembra vivere da sempre, bramosa di ardenti carezze, Angelica desidera un uomo che, in realtà, non le ha mai dato affetto. Accecata dallo struggimento e dalla compassione di sé, più che dall’amore per il terribile Lo Giusto/’O Re, questa matrigna affascinante non è cattiva in maniera tradizionale: Angelica sembra rispondere a leggi di natura legate a un istinto di sopravvivenza quasi animalesco. Non esita a coinvolgere nel suo incubo anche la propria prole, femminiello compreso, destinandola allo sfruttamento sessuale e al delitto, all’odio rancoroso e immotivato.
In questo senso, benché stereotipato, Angelica mi è sembrato un personaggio molto più complesso e interessante di Cenerentola, che, fino al “risveglio” finale, sembra difettare di personalità, trascinata dagli eventi e dalle persone e, anch’essa, dal desiderio di essere amata.
Per me, la vera “Gatta” del titolo è la bella matrigna e, visto in quest’ottica, il film animato mi è parso -se possibile- ancora più stimolante.

Bravi i doppiatori-attori coinvolti: in particolare, ho apprezzato il lavoro di Maria Pia Calzone (Angelica) e Massimiliano Gallo (‘O Re).

Molto bella la colonna sonora, caratterizzata da melodie mai banali, distanti da afflati neomelodici o smaccatamente folkloristici, estremamente funzionale a livello atmosferico e narrativo, capace anche di criticare argutamente le contraddizioni evidenti e consolidate di Napoli.
Le caratteristiche grafiche generali e il character design dei personaggi si confermano al limite dello sperimentale e sono molto interessanti, poiché mischiano elementi di estremo realismo a stilizzazioni e a dettagli più esotici, dagli echi quasi nipponici. Efficace l’uso del paint over, che conferisce -specie agli sfondi- l’aspetto di quadri a olio.

Curiosità: grazie ai titoli di coda, ho appreso che, inizialmente, Mia avrebbe dovuto avere una voce. Nei credits della colonna sonora, infatti, è riportato il titolo di un brano già inciso che la ragazza avrebbe dovuto cantare durante il film.
Quando, nel 2015, la factory Mad presentò il progetto a Cartoons on the Bay, Mia/Cenerentola doveva essere ben diversa da quella che, poi, è diventata: https://www.nientepopcorn.it/notizie/le-prime-immagini-di-gatta-cenerentola-di-rak/ A parer mio, anche questo è un elemento interessante, per apprezzare il processo creativo e lavorativo che si cela dietro il prodotto cinematografico finito.

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