24 Dicembre 2014 in Fuoristrada

“Fuoristrada” di Elisa Amoruso racconta la storia di Pino, che nasce e vive a Roma. Fin da ragazzo comincia a farsi le ossa lavorando come meccanico, approdando poi alla sua più grande passione: le gare di rally. Con gli anni iniziano ad arrivare i primi successi nel circuito amatoriale nazionale, e Pino diventa “Girello, fenomeno dell’anno”. Sul piano personale? Pino si sposa, e lo fa per ben due volte, e dal primo matrimonio avrà anche una figlia, Katiuscia. Fin qui tutto chiaro, ma forse no. Le sue vesti gli impacciano i movimenti, Pino non si sente a suo agio in quel corpo, gli va stretto. Così nel 1995 Pino tenta la strada verso un NUOVO obiettivo: essere se stesso, essere Beatrice. Ed è lungo questo arduo percorso di trasformazione che incontra Marianna; subito c’è l’amore, l’accoglienza delle fragilità e della straordinarietà, l’uno dell’altro. Perché “quando è amore, passi tutto”.

Elisa Amoruso, già sceneggiatrice di “Good morning, Aman” (2009) e “La foresta di ghiaccio” (2013), sente l’urgenza di svelare ciò che le si presenta davanti agli occhi: un sentimento che riesce ad andare al di là delle barriere sociali e culturali, assolutamente anticonvenzionale. Gli sguardi, i gesti dei protagonisti, ricchi di spontaneità e tenerezza (come vuole il genere del documentario), sono l’emblema anticonformista di uno spaccato di quotidianità eccezionale, in un paese bigotto che ancora non si avvale del carico di una realtà concreta: quella dell’amore che vada oltre i mutamenti del costume, del sesso come una presa di posizione sociale. Beatrice e Marianna mangiano dello stesso pane e degli stessi valori, mostrando come le relazioni non siano poggiate sulla diversità, ma sull’unicità, nell’accoglienza della sfera più intima in tutte le sue sfumature di COLORE.

“Fuoristrada” non è solo una sfida in pista, ma una metafora esistenziale; un modo di essere, la testimonianza del proprio Io. È andare avanti a spada tratta, con tutti gli ostacoli e le avversità che il percorso mette lì a casaccio; prendere rotte mai intraprese prima, al bivio della realtà che si dirama, e che finisce con il ricongiungersi sulla stessa via. Nel suo primo lungometraggio, la Amoruso ha saputo centrare e catturare ogni minimo particolare che il suo racconto richiedeva: la genuinità delle carezze, le reminiscenze di un passato accidentato ma le cui radici solidificano il PRESENTE (le cure ormonali, le operazioni, la battaglia di Beatrice per riavere la sua donna accanto a lei), senza mancare di alcune fondamentali riflessioni sulla sessualità e l’identità di genere (“Se si taglia la clitoride a una donna, cosa diventa? Un buco! Beatrice sta bene così com’è!”). “Girello è Beatrice, Girello è Pino… comunque, è una sola persona!”. Superando tutte quelle banali, superficiali etichette.

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