Delusione Disney / 9 Dicembre 2015 in Frozen - Il regno di ghiaccio
Senza volermi dilungare sui vuoti narrativi che caratterizzano questo film su cui diverse recensioni si sono già soffermate in precedenza, mi permetto di dire che questo è uno dei peggiori film Disney che abbia mai visto. Tolta la bellezza delle animazioni legate al ghiaccio e alla neve e la cura per taluni dettagli (la qualità dei pattern, per esempio), ho apprezzato molto poco di questo titolo.
In primo luogo, l’ho trovato pretenzioso, nel senso che, essendo Disney, sembra vivere di rendita, è come se fosse stato pensato (con una certa fretta) per essere “scusato” di ogni mancanza, sia essa narrativa che estetica. Non ricordo un altro film Disney così poco contestualizzato, sia dal punto di vista geografico (siamo in un non meglio definito Nord finnico, tale solo per via della presenza di un fiordo e di una renna, direi) che psicologico: tutto quello che accade in questo racconto sembra essere frutto del caso e, alla fine, ne sfuggono il messaggio e l’eventuale morale.
Ho trovato terribile la materialità della principessa Anna: allorché la ragazza comprende che Kristoff potrebbe salvarla, non realizza, eventualmente, di provare qualcosa per il ragazzo, ma corre da lui solo per essere salvata, per fini esclusivamente utilitaristici.
Se la Disney, negli anni, ha tentato di affrancare le sue eroine dai ruoli passivi di “pupattole” come Cenerentola o Aurora (con risultati, a mio parere, abbastanza incerti), con Frozen ha buttato palesemente ogni sforzo alle ortiche: non solo Anna sembra incarnare il prototipo della donna che non sa sentirsi realizzata senza un uomo accanto, ma anche Elsa è falsamente emancipata, perché il suo canto liberatorio durante la creazione del castello di ghiaccio sembra esprimere un desiderio improvviso in cui non pare esserci alcuna traccia precedente di maturazione (e qui torniamo ai vuoti narrativi ampiamente trattati altrove). Elsa è una povera vittima rinchiusa per un periodo lunghissimo, dall’infanzia alla piena adolescenza, e per motivi alquanto nebulosi, nella stanza di un grande castello, ma di lei non sappiamo nulla (a differenza, per esempio, di Rapunzel, costretta ad una condizione decisamente simile), né desideri, né contraddizioni, e -all’improvviso- questa ragazza dotata di poteri indefiniti, nel momento “clou” del film, affidato al brano portante della colonna sonora, parla di “indipendenza”.
Indipendenza? Da cosa? E perché? Elsa non ha mai espresso il desiderio di ritrovare sé stessa, anche se la cosa può suonare comprensibile visto che ha vissuto segregata per anni, ma il pubblico si trova improvvisamente di fronte a una ragazza che vuole il controllo sul proprio cuore e che… vuole andare a vivere da sola (“Resto qui, non andrò più via/ sono sola, ormai”, ma lo è sempre stata…).
Qualcuno le ha mai imposto altro? Dal racconto, fino a quel momento, Elsa non sembra aver mai patito il suo futuro ruolo di regina, né altre costrizioni che esulino dall’allontanamento forzato da ogni forma di socialità.
Quella di Frozen è una storia illogica non certo per via dei suoi elementi magici, ma per i suoi contenuti e propositi e, soprattutto, per i modi con cui questi sono esposti. Ci sono un paio di finti villain (anche Elsa è tale), inconsistenti e mal gestiti, messi a bella posta, come la renna compagnona amante delle carote, per “fare numero”, perché in un film Disney queste cose, si sa, non possono mancare e guai a mischiare le carte.
Non intendo soffermarmi sulla regressione generale del character design (se solo penso a quello di Olaf, per quanto simpatico, tra l’altro narrativamente inutile quanto l’infame Jar Jar Binks di Star Wars…) o sull’incredibile concentrazione di parti cantate nella metà iniziale del film, imbarazzanti, nel vuoto pneumatico dei loro contenuti (non sembrano avere alcuna funzione narrativa, non raccontano nulla, non spiegano alcunché: sembrano essere state pensate solo per mettere in bella mostra le doti canore degli interpreti).
Frozen, in questo senso, è uno dei prodotti più commerciali e privi di sostanza di casa Disney, assolutamente soprassedibile e ben poco evocativo. Ciliegina sulla torta: anche per questo, mi sono davvero stupita che il produttore esecutivo di questo pasticciaccio brutto (cit.) sia Lasseter.

Non sono affatto d’accordo.
Sarà che l’ho visto diecimila volte (mia figlia lo adora, vabbè) e forse mi si è iniettato dentro come un virus 😀 … ma non riesco a capire come il dramma interiore di Elsa possa venir sminuito. E’ un personaggio complesso, vivaddio, non ha un classico lato oscuro ma è vittima di qualcosa di totalmente suo che non può controllare; la “glacialità” sentimentale ed emotiva di alcune persone è un fatto. Poi, certo, ci sono gli elementi ricorrenti di un film Disney, ma smontarli sarebbe un po’ come giudicare un film d’azione perchè c’è troppa azione o un romance perchè ci sono troppi baci!
@paolodelventosoest: non c’è un solo momento nel film in cui ci si soffermi su quello che prova Elsa, sia da bambina che da adolescente. Piuttosto, ci viene mostrata solo Anna che tenta di mettersi in contatto con lei: viene mostrata sempre Anna. Di Elsa non si sa nulla, se non che il padre le infila dei guanti, raccomandandole di contenere le emozioni e lei obbedisce senza battere ciglio (alla faccia dell’introspezione 😀 ), e che è chiusa in una stanza, da sola (e il fatto che non sia impazzita mi stupisce) da cui esce per diventare regina (il pericolo legato al suo potere è svanito all’improvviso? Perché? Se c’è qualcosa di metaforico legato a questo passaggio, davvero non l’ho colto). Un utente, qui su NP, ha accostato Elsa ad uno degli X-Men (e la cosa mi ha divertita): ha un potere che non può controllare, è nata così, ottimo presupposto. Ebbene, “parliamone”. Invece, Elsa, una volta rinchiusa nel castello, perde ogni tridimensionalità, non sviluppa profondità/interiorità, resta un mistero per tutto il film: è una (ingiusta) vittima di cui non si sa nulla, purtroppo.
Non “smonto” un film per il gusto di farlo 🙂 Se il film “mi da poco”, me ne domando il perché e, davvero, Frozen è stato solo capace di stancarmi con la sua superficialità. Sia ben chiaro: non che la tradizione Disney sia un faro per la logica, ma, paradossalmente, accetto più volentieri una principessa che sposa il primo che la bacia, piuttosto che una che reclama indipendenza senza senso di continuità, perché la mancanza di razionalità (si badi bene, non di logica, appunto) è uno dei principi su cui si basa la fiaba tradizionale.
Delusione, tremenda delusione 🙁
Oh brava Stefania!!!
Finalmente qualcuno a cui questo film non è piaciuto. Io non sono stata drastica come te nel votarlo, ma oggettivamente la storia è davvero sterile e tutta sta emancipazione femminile non ce la vedo proprio. Esatto cara, è un prodotto commerciale e io VOGLIO ASSOLUTAMENTE CAPIRE come DIAMINE fa la gente a ritenerlo il capolavoro Disney per eccellenza rubando il posto a Il Re Leone. Ma siamo matti??
Non c’è trama, non ci sono cattivi…
Spezzo una lancia però per Elsa, alla fine può capitare di esternare tutto ad un botto anni e anni di sentimenti repressi che magari non si è nemmeno accorta di provare. Reprimendo sé stessi, specie così a lungo, si arriva a un punto in cui si nega persino di avere un problema. Quindi, posso dire di capire Elsa. Inoltre se all’inizio era isolata “forzatamente”, nel suo castello di ghiaccio si è isolata per scelta e in modo da non far del male a nessuno.
Concordo invece su Anna. Superficialissima!!!
Paolo: il problema non sono gli elementi ricorrenti di un film Disney (che sono l’unica cosa che apprezzo sempre e comunque, in fondo se guardo un Disney, voglio un Disney!) ma tutto il resto!
@kagura: il problema del personaggio di Elsa, secondo me, sta nella velocità con cui viene descritto. Come dicevo a Paolo, di lei non si sa niente e, improvvisamente, la neo-regina prende una decisione (rifugiarsi nel castello di ghiaccio), senza che le premesse della sua volontà di indipendenza siano chiare. Ovviamente, lo spettatore intuisce che tutti gli anni trascorsi da sola non le sono stati d’aiuto, ma il conflitto che la lacera non è mai evidente: Elsa ha accettato passivamente, per forza di cose, quanto le è stato imposto e l’accidente che ne causa l’allontanamento dalla corte e il risveglio della personalità è talmente casuale e repentino che è letteralmente scollato dalla conseguente decisione di “vivere da sola”. È davvero un peccato, perché la sua dualità avrebbe potuto essere molto molto molto più affascinante di così, secondo me 🙁
E’ vero, il risveglio della personalità di Elsa è stato molto repentino, tuttavia il film non poteva essere così tanto psicologico, è cmq destinato a bambini che di certo non badano molto a queste tematiche, salvo eccezioni. La prova ella mia teoria è il successo di questo film.
Però ovvio, hai ragione! La dualità poteva essere sviluppata meglio, ma ripeto, sarebbe diventato un film x adulti.
@kagura: su questo hai ragione, sarebbe stato tutto un po’ troppo complesso, per i bambini più piccoli.
Nell’ambito dell’animazione, credo di essere troppo abituata alla molteplicità dei livelli di lettura della Pixar, per esempio, che riesce ad accontentare più strati (anagrafici) di pubblico, mantenendo solitamente elevata la qualità narrativa. O, al contrario, sono ancora troppo in sintonia con i vecchi classici Disney, dove le cose erano forse meno elaborate, ma decisamente più lineari e, in questo senso, se non innovative a tutti i costi, erano perlomeno più comprensibili a tutti.
Ho visto questo film due anni addietro e, pur trovandolo interessante sotto alcuni punti di vista, non mi ha fatto impazzire e neanche lo considero un “capolavoro” a dispetto di una buona fetta di spettatori. Alla fine della fiera si tratta di una storia scontata e piena di interrogativi non risolti, dove la parte musicale ha un’assurda sovrabbondanza su quella narrativa (a questo punto facevano un musical e basta). D’accordo anche su Olaf e non ti nascondo che ho sperato fino all’ultimo che si trasformasse in una pozzanghera d’acqua 😀
@cinefilonapoletano91: oh, ecco, anch’io ho pensato… anzi, ho sperato in una sua liquefazione! :p
Troppe canzoni? Ci avevo pensato anche io (in realtà già dai tempi della Principessa e il Ranocchio) che ci fosse troppa parte musicale, ma… onestamente: TUTTO il rinascimento Disney era costellano da miriadi di canzoni! In certi film ce n’erano addirittura 7! Il vero problema è che all’epoca le canzoni erano fatte bene, la durata non era eccessiva e non davano fastidio, anzi incorniciavano alla perfezione il film. Al contrario, reputo molte di quelle odierne dei semplici motivetti da dimenticare. Un paio degne di nota, le altre no.
@kagura @cinefilonapoletano91: a proposito delle canzoni, oltre che con il loro numero, ho avuto delle palesi difficoltà ad afferrare subito il contenuto di alcune di esse (e, ultimamente, mi è capitato anche con altri film Disney recenti), un po’ per via della complessità musicale dei pezzi (doppie voci a profusione), un po’ a causa dei virtuosismi degli interpreti, temo.
Al di là di questo, e senza voler sminuire il grosso lavoro di chi si dedica al complicatissimo adattamento dei brani cantati di un film come questo (vedi l’intervista a Lorena Brancucci che si occupa da più di dieci anni dei film Disney: http://bit.ly/1U32k4a), i testi di Ermavilo (La Bella e la Bestia, Pocahontas, Il re Leone, per esempio), ouh, erano a mio parere davvero azzeccati (p.s.: Ermavilo è lo pseudonimo di Ernesto Brancucci, probabilmente il padre della citata Loredana).
Beh io non cedo, dovrete passare sul mio cadavere! 😛
Ripeto, la personalità di Elsa è specchio di molte persone introverse, incapaci di provare emozioni, e il fatto che di lei “non si sa nulla” non fa che confermare tutto questo. Manca di tridimensionalità? Beh, è giusto quel che dice @kagura: il film “non poteva essere così tanto psicologico”.
Olaf è un personaggio già visto – che però funziona sempre, con i piccoli – così come la renna Sven.
Anche contestare l’eccesso di canzoni per un classico Disney… maddai, non si può! E’ Disney, regà, non è Pixar; che poi questa stracelebrata Pixar, con Arlo non è che abbia dimostrato sta grandissima tenuta di fantasia, del resto…
@paolodelventosoest: eh eh, in quanto a non voler cedere, ti capisco! 😉
Tornando alla discussione…
Non si può parlare di “personalità di Elsa”, perché non ce l’ha 🙂 Intendiamoci: Biancaneve o Cenerentola non stanno messe meglio, in quanto a profondità psicologica, ma Elsa cos’è, caratterialmente parlando? Mentre Anna è decisamente egoista ed egocentrica (aspetta la festa dell’incoronazione -della sorella, ovviamente- per farsi notare da qualcuno) e mette in scena una parvenza di personalità, Elsa è assolutamente incolore, fin dall’inizio, da quando le due sorelle vengono mostrate bambine. Elsa è solo una vittima che si ribella, ma nel film (a parte il fatto che sta sola, e non è cosa da poco, ma si lascia troppo all’intuizione dello spettatore) non viene mai mostrato apertamente il suo patimento.
Non è il primo personaggio Disney a prendere decisioni repentine in quattro e quattr’otto, ci mancherebbe (ripenso a Belle de La Bella e la Bestia o a Pocahontas, giusto per parlare di “principesse”), ma dietro questi altri c’era un contesto (anche psicologico, benché solo accennato magari) che rendeva tutto vagamente credibile.
Riguardo le canzoni, non le critico in quanto tali, ma perché eccessive: tolta quella sull’estate, che rende una sorta di cortometraggio nel film l’introduzione di Olaf, hanno scarsissimo peso narrativo. Va bene la tradizione canterina, ma sono tutte davvero necessarie? La Disney si sta svecchiando o no? Decidiamoci (sto parlando con Lasseter, in questo momento…).
Nei confronti delle varie mascotte antropomorfe, confesso di avere una personale antipatia, perché ravviso in esse gli scopi espressamente commerciali dell’operazione e, anche qui (e tu lo confermi), vengono inserite “perché piacciono ai bambini”.
Per quanto riguarda la Pixar, non ho visto Il viaggio di Arlo e su quello non mi pronuncio, ma sul resto sì e, dal punto di vista narrativo, i 3/4 dei film Pixar hanno sufficiente “rispetto del pubblico” (mi si conceda l’espressione, non del tutto fondata, me ne rendo conto), nel senso che i film Pixar cercano di andare incontro alla sensibilità e all’ “impressionabilità” di più fasce anagrafiche.
I classici Disney di un tempo erano decisamente più trasversali di alcuni di questi lavori “progressisti” degli ultimi anni (e non parlo così per via di qualche presunta nostalgia dei bei tempi che furono, lungi da me): lasciando da parte tutti questi bla bla (miei 😉 ) su psicologia e spalle animali abbastanza fini a se stessi, quei film affascinavano grandi e piccini all’istante perché, sostanzialmente, erano immediatamente comprensibili.
Pur tradendo lo spirito della fiaba europea rifiutandone l’aspetto macabro e realistico e nonostante tutti i suoi vaghi insegnamenti morali, il racconto Disney era letteralmente emblematico: ora, con lavori come questo, tenta (e neppure vi riesce appieno!) solo di essere politically correct (non riesco a levarmi dalla testa l’idea che la storia con le due sorelle sia stata elaborata soprattutto ad uso e consumo delle tante coppie di sorelline al mondo che, finora, non avevano ancora un film Disney dedicato a loro: “Quale target commerciale non abbiamo ancora toccato? Uh, le sorelle-quasi-coetanee che si vogliono bene ma che si punzecchiano: eccallà Frozen“).
Il mio, benché possa sembrarlo, non è accanimento: è delusione, lo ribadisco 🙁
Elsa cos’è, caratterialmente parlando? Una ragazza a cui viene sottratta la gioia spensierata dell’infanzia, oppressa da un senso di responsabilità per il quale non è all’altezza si rifugia nel suo “castello di ghiaccio”. Metaforicamente il potere di rendere ghiaccio ogni cosa, fino a fare del male, è il simbolo più immediato ed efficace di chi è vittima del proprio carattere, incapace di cambiare da sè le cose, incapace di entrare nelle situazioni con il cuore, di chi preferisce fuggire. Nella sua involuzione genera il mostro dell’autodifesa, approntato non per dolo ma per tenere distanti le persone; solo dal ricordo dell’infanzia riaffiora la sua creatura positiva – Olaf – il quale rappresenta la sconsideratezza di chi, pur essendo creatura di neve, desidera il calore dell’abbraccio rischiando la sua essenza stessa. Olaf è in qualche modo la proiezione positiva di Elsa solo perchè nasce da un momento di gioia condivisa con la sorella Anna (che invece trovo esageratamente “simpaticona” e sconclusionata). Non so se si è capito, ma io adoro Elsa!!! La trovo così poco amabile, un personaggio così difficile a cui affezionarsi; infatti non a caso i bambini la snobbano per la sorella pazzerella.
E aggiungo: certo, @Stefania, è proprio così, la storia è pensata a tavolino per incasellare anche il rapporto tra sorelline coetanee etc. Da sempre la Disney perlustra il prisma dell’infanzia / adolescenza cercando ogni sfumatura etnica, caratteriale, etc. ma questo mi sembra un aspetto positivo tutto sommato. La ricerca culturale si è sempre mossa così, per quanto ne so. Riempiendo i buchi.
@paolodelventosoest: (ouh, in tutto questo ambaradan, vorrei fosse chiaro che mi sto divertendo molto a sviscerare il film e che non è mia intenzione far cambiare idea a chi lo ha apprezzato 😉 Magari dalla “foga” non si capisce e non vorrei urtare qualcun* )
E tutto questo ti sembra palpabile, evidente, comprensibile? Posto che sia così, bisogna intuire tutto. Non dico che occorra mettere delle didascalie 😀 , ma la storia è così involuta e traballante che Elsa è, letteralmente, un busillis. Non è comprensibile ad una prima lettura (e non vedo perché dovrei sprecare del tempo a rivedere il film una seconda volta, in potenza, non so se mi spiego). Paradossalmente, è più comprensibile un personaggio come Malefica ne La Bella Addormentata…, di cui non sappiamo niente di niente, ma che è misteriosa, affascina, incuriosisce (ok, è uno dei super-cattivi per antonomasia, ma è diventata tale perché c’è del lavoro, dietro). Elsa… povera lei perché è stata modellata solo parzialmente, è un abbozzo di “qualcosa” che poteva essere davvero grandioso, come ho già detto.
Quella della Disney, per inciso, infine, non è esattamente ricerca culturale, ma di mercato. Bisogna tirare a campare, per carità, ma, personalmente, trovo la cosa un po’ -come dire?-fastidiosa (non è il primo caso e non sarà l’ultimo, certo).
@Stefania ci mancherebbe, è sempre stimolante discutere quando lo fai con qualcuno che non ti da del demente se non sei d’accordo con lui 😀
La ricerca è di mercato, certo. Inoppugnabile. Necessario però precisare che se alla base del mercato non c’è un piano di ricerca più approfondito, il prodotto si squalifica da solo. Il famoso Re Leone – per dire uno dei lavori generalmente più apprezzati – non era forse un magnifico prodotto commerciale per tirar su qualche vagone di bei dollaroni? Da ciò risulta chiaro che il metro cultura/mercato non è mai un piano critico vincente (Michelangelo non lavorava gratis). Perfino i ghiblisti più oltranzisti e i pasdaràn pixaroli dovrebbero fare ammenda ogni volta che sparano a zero sui prodotti Disney doc, additandoli come peccaminosi esempi di vacui simulacri del dio denaro (ma qui non mi riferisco a te nello specifico, ci tengo a sottolineare).
@paolodelventosoest: quello che intendo è che la Disney, in questo caso (come più o meno accade da Aladdin in poi) ha cercato un segmento di mercato non ancora battuto (e l’Africa, e la fantascienza, e la Cina, e il mito greco, e la principessa afroamericana, e gli arcade, ecc.) e non che non possa farlo, ci mancherebbe, è stimolante (tanto che, all’epoca, la Dreamworks, tanto per dire, per correre ai ripari, si buttò sul filone biblico!) e manco a dirlo aspetto curiosa come una scimmia Oceania.
Il fatto è che qui come in poche altre occasioni, secondo me, la Disney ha toppato malamente: le sorelle amo et odio, appunto. Ma si parla davvero del rapporto tra sorelle, in questo film? Ha sfruttato il pretesto, per catturare un certo target, ma l’ha svilito come mai prima d’ora (non è che in Mulan, per esempio, si parlasse davvero di cultura asiatica, ne sono consapevole 😉 ), rendendolo puramente strumentale, per cui, per me perlomeno, la cosa è fastidiosa, vedo uno spreco immane di temi e possibilità narrative.
Il problema fondamentale del film, torno sempre lì, è la sceneggiatura e l’incapacità di definire adeguatamente situazioni (rapporti causa/effetto) e personaggi, per cui… infila lì, rappezza là e poi viene fuori questa “cosa” 🙂 Il che mi duole, perché Frozen aveva immense potenzialità e, a latere, in questo senso, non mi capacito neppure dell’Oscar ricevuto come Miglior Film di Animazione.
Tra l’altro, questo è un discorso molto simile a quello che avevo fatto nel mio piccolo mondo interiore (e non solo) ai tempi di Ribelle – The Brave: come dicevo più su, l’eccessivo progressismo non giova sempre, a parer mio, soprattutto se, come in questo caso, non si coniuga bene con gli “strumenti” che, in passato, hanno fatto la fortuna del genere (es. spalle antropomorfe, canzoni, cattivi, ecc.).