3 Recensioni su

Frantz

/ 20167.359 voti

La freschezza del lutto / 3 Novembre 2019 in Frantz

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Frantz dimostra come si possa raccontare un’evento traumatico quale è stato il primo conflitto mondiale senza mostrare obbligatoriamente lunghe scene di soldati agonizzanti con viscere sparse per terra e battaglie all’ultimo sangue nelle trincee dell’avversario.
Con questo non voglio sostenere che la violenza vada esclusa da o censurata nei film d’autore, tutt’altro, ma apprezzo molto che in questo film ci sia un riferimento ad eventi traumatici in modo indiretto.
E’ un film dolce che sorprendentemente porta con sè numerosi colpi di scena ed è carico delle emozioni e delle sofferenze dei protagonisti.
Non si può che provare simpatia e comprensione per i protagonisti principali ( Per Anna, per Frantz, per Adrien e per gli Hoffmeister ), tutti lacerati del dolore lasciato dal conflitto, dolore che si attenua simbolicamente quando il cupo, seppur bellissimo, bianco e nero lascia lo spazio ai colori.

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Lo svenevole / 2 Ottobre 2016 in Frantz

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Subito dopo la WWI, in un paesello della Germania piccino picciò, c’è sta tizia, Anna, che piange il fida morto al fronte, da cui il titolo, e vive con di lui gli anziani genitori. Genitori di lui, dico. Sulla tomba compare un tizio uguale ad Adrien Brody da giovane (ma ovviamente con meno naso), e infatti si chiama Adrien (wtf?), un amico di Frantz quando andava a Parigi. Insieme, tutti, rielaborano il lutto, ricordano, alleviano. Lentamente prende Adrien il posto di Frantz in Anna. Ma no, non letteralmente! :/ Però si vede che lui è fragilino, sviene in continuazione, poi boh, è primavera ma fa un bagno nel fiume, fino a un attimo prima stavano in giaccone, paxxo. Comunque, lui tira la bomba e se ne va senza salutare – io mi aspettavo che le dicesse che si ficcava Frantz, ma no. Anche perché sarebbe stato Tom à la ferme. Lo perdonerà Anna? Sì (tra l’altro trova il primo prete ragionevole di tanta filmografia), e va a cercarlo a Parigi. Quel che è incongruo è che entrambi sappiano francese e tedesco, Frantz suonava il violino, Adrien pure, e pure Anna il pianoforte, cheschifoipoveri proprio. Lo ritrova nel suo castello (ecco), lo perdona e controbomba, lui è già fida con una tizia, non me ne si voglia, orribile e anonimissima. Di quelle con il faccino da toporagno. La quale però ovviamente è cantante lirica. Oh ma un ca**o di operatore ecologico, un muratore, qualcosa, un’ultima ruota del carro mai? Come che sia, è un film di ricerca e assenza e sostanzialmente menzogna, e cultura europea. Prima Adrien verso Anna & family, poi viceversa, e a un certo punto persino l’inscalfibile Frantz, la cui immagine negli occhi di chi guarda muta di continuo a seconda dei ricordi affiorati, si scopre che quando andava a Parigi alloggiava in uno splendido hotel di gaudenti bagasse. E poi c’è lo sfondo, tedesco di campagna e cittadino francese, costellato di odio post-bellico – Anna ha un pretendente che si capisce sarà un ottimo nazionalsocialista. Il film è ripreso da un Lubitsch d’antan, il bianco e nero e la virata ai colori è ripreso ormai da tanti, alcuni che ne hanno fatto un uso forse meno banale – Ozon ha ben visto Heimat? Cela dit, sono del parere si debbano sempre dare due spicci ai film di Ozon. Ogni volta è tutto diverso, passa dalle mignotte, ai ragazzini psico a qualsiasi cosa con una semplicità e un impegno, quasi ritenesse riprorevole replicare più volte la stessa cosa.
Comunque alla fine Anna resta in Francia e al Louvre si trova, davanti a un Manet e manco fosse Raffaella, un altro più bello, ma con ancor meno naso, che probabilmente problemi non ha.

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Elogio del dubbio e della rivelazione / 27 Settembre 2016 in Frantz

(Sette stelline e mezza)

Alla luce dei film di Ozon visti finora, posso dire di apprezzare profondamente l’uso che il regista francese fa del dubbio, dell’ambiguità e della menzogna, elementi-base della sua personale visione dell’altro, inteso come alternativa, parallelo, che, progressivamente, si sostituisce alla realtà.

Con l’elegante Frantz, mélo storico prevalentemente in bianco e nero, Ozon cita apertamente Lubitsch, operando un raffinato remake del pressoché introvabile L’uomo che ho ucciso, e crea un drammatico gioco di rivelazioni che, sul filo del thriller, racconta l’educazione sentimentale di una giovane donna, provata da un lutto profondo e chiusa nel proprio apparentemente asintomatico dolore.

Pur difettando sul piano dell’analisi storica (ritengo non fosse l’obiettivo di Ozon), che, specie inizialmente, pare essere uno degli assi portanti della trama, ma che, a conti fatti, è limitata alla rappresentazione e all’elaborazione del lutto (le costanti visite al cimitero, le rovine nelle campagne francesi, la camera di Frantz rimasta immutata), la vicenda raccontata mostra le contraddizioni emotive di un popolo sconfitto che rispecchia quelle, intime, della giovane protagonista, l’esordiente ma estremamente capace Paula Beer (Premio Mastroianni come esordiente a Venezia 2016).

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