8 Marzo 2017

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il periodo tra il 2013 e il 2015 è apparso come quello del revival della famosa creatura assemblata con pezzi di cadavere (ma non nel romanzo originale di Mary Shelley), con l’uscita di ben quattro film molto diversi tra loro ma avendo in comune l’ambizione, non sempre riuscita, di rielaborarne i temi (d’altronde dopo più di sessanta film con protagonista il celebre dottore e la sua creatura, difficile dire qualcosa di veramente nuovo sull’argomento): The Frankenstein Theory (Andrew Weiner, USA 2013) era un found footage che partiva dal principio che la vicenda raccontata dalla Shelley fosse reale e che la creatura fosse ancora in giro nei boschi dell’America settentrionale; I, Frankenstein (Stuart Beattie, USA/Australia 2014) era invece un pastiche fantasy/action molto lontano dal modello letterario; Frankenstein (FrankƐn5tƐ1n, Bernard Rose, USA 2015) cercava di aggiornare nell’epoca contemporanea i temi sempre attuali della Shelley; infine questo Victor-La storia segreta del dottor Frankenstein, diretto da uno dei registi della premiata serie televisiva Sherlock e sceneggiato dal figlio d’arte Max Landis. Al gruppo bisogna poi aggiungere la seria televisiva Penny Dreadful (USA/GB 2014-2016) che tra i numerosi personaggi annovera quelli di Frankenstein e delle sue creature, forse le interpretazioni più riuscite del lotto citato sopra. Il giovane e brillante scienziato Victor Frankenstein (James McAvoy), conosce in un circo itinerante, dove si esibiva come freak, Igor (Daniel Radcliffe), altro giovane deforme nel corpo ma dalla mente arguta e particolarmente portato per la medicina. Intuite le potenzialità dello sfortunato, segretamente innamorato di Lorelei (Jessica Brown Findlay), la trapezista del circo, lo prende sotto la sua protezione, curandone le deformità aspirandone il pus dalla gobba e creando un bustino per fargli ottenere una corretta posizione eretta. Alla fine del trattamento Igor si trasformerà in un aitante giovane uomo che, per riconoscenza e ammirazione, deciderà di aiutare Victor nei suoi esperimenti atti a generare la vita dalla morte. Gli studi e le classiche incursioni notturne nei cimiteri per rubare cadaveri, attireranno l’attenzione dell’ispettore Turpin (Andrew Scott), un conservatore fervente cristiano che guarda i due con sospetto di blasfemia. La creatura che i due riusciranno a creare, dopo vari infruttuosi tentativi e solo dopo aver ottenuto dei finanziamenti dal nobile Finnegan (Freddie Fox), si rivelerà però un essere bestiale tale da dover essere soppressa dal suo stesso creatore. Come spesso accade nelle produzioni americane che prendono spunto da classici della letteratura inglese, anche in questo caso trama e contenuti del romanzo di Mary Shelley sono cambiati se non proprio stravolti. Già dal titolo si intuisce che l’attenzione del film dovrebbe essere spostata tutta sul dottore e sul suo background (il motivo della sua ossessione per i suoi esperimenti, data dalla morte del fratello in una rielaborazione dello sceneggiatore delle pagine del romanzo), il che non sarebbe neanche filologicamente errato, ma la vicenda concede davvero poco spazio alla creatura e alla sua tragedia. Tutta la vicenda è vista attraverso gli occhi del gobbo, figura presa di peso dai classici della Universal piuttosto che dal romanzo (e anche, forse involontariamente, dall’altrettanto classico di Mel Brooks, Frankenstein Junior…) e trasformata in pratica nel vero protagonista del film (tanto che un titolo più corretto sarebbe stato Igor & Victor!). Eccessivamente repentina e forzata, appare poi la “guarigione” dallo stato di freak, la sua parabola richiama inizialmente quella del Gobbo di Notre Dame di Hugo per poi trasformarsi, almeno fisicamente, in una specie di Dorian Gray wildeiano. Dall’Europa centrale di inizio ottocento della Shelley, l’azione si sposta nella più classica Londra vittoriana, ambientazione cittadina che in pratica soffoca una storia che meritava e aveva un più ampio respiro anche a livello di contenuti morali e filosofici, qui ridotti al consueto dilemma sui limiti etici della ricerca scientifica. In pratica un film che poco rielabora dal testo originale, ma che aggiunge alla vicenda eccessive divagazioni narrative e non tutte portate avanti adeguatamente, tanto che i vari spezzoni del film sembrano a volte mal cuciti assieme, quasi a richiamare l’aspetto classico della creatura dello scienziato.

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