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Il cliente

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Questioni morali / 28 Gennaio 2018 in Il cliente

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

Oltre che la sua asciuttezza narrativa e formale, del film ho apprezzato decisamente la questione morale posta agli spettatori al momento della scoperta dell’identità dell’aggressore.
Mi ha fatto pensare alle cacce, alla detenzione e alla condanna di soggetti deprecabili (nazisti, mafiosi, delinquenti in genere, ecc.) acciuffati e consegnati alla giustizia in tarda età.
Chi insegue vuole soddisfare il proprio desiderio di vendetta, volto a sanare un torto subito a livello personale o più ampio: cosa può trattenerlo dal metterla in atto, se non le remore legate a una contraddittoria razionalità?

Lo schiaffo del protagonista all’uomo colpevole di aver minato la sicurezza della sua casa, del suo matrimonio e di sua moglie ha molteplici significati. Non si tratta solo di espressione di violenza fisica (trattenuta, a dispetto della rabbia che agita chi la mette in atto), ma ha un valore simbolico. In primis, è lo schiaffo di un giovane a un anziano malato, un atto che mette in discussione l’impianto famigliare e patriarcale della società iraniana tradizionale.
Inoltre, è un gesto che, apparentemente senza effetti significativi immediati (niente sangue, niente dolore insostenibile), segna il definitivo tracollo di un uomo fisicamente messo a dura prova da emozioni e fatiche impreviste.
Infine, sottolinea il senso del possesso espresso dal protagonista. La moglie, l’unica che ha subito un danno fisico e psicologico diretto, non vuole vendetta (scinde il tentativo di superare il trauma subìto dal sentimento di rivalsa). Per quanto sia una persona tendenzialmente moderata, il protagonista dimostra -forse, per la prima volta- uno spiccato senso della proprietà che si estende fino alla moglie.

Ho trovato molto curioso che l’episodio dell’aggressione non venga mai spiegato esplicitamente. Si tratta di una scelta narrativa (mantenere l’imprecisione per solleticare la curiosità del pubblico, che -come il protagonista- è all’oscuro delle precise dinamiche del fatto), oppure di una sorta di veto o censura (come il cappotto rosso dell’attrice che, in teatro, dovrebbe recitare senza veli)? Idem per la definizione del lavoro della precedente inquilina dell’appartamento: nessuno lo nomina mai in maniera esplicita e questa donna è una specie di povero fantasma reietto.

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“Ti stai vendicando” / 10 Novembre 2016 in Il cliente

A distanza di cinque anni dall’Oscar come miglior film straniero per “Una separazione”, e dopo il film girato in Francia e in lingua francese “Il passato”, Asghar Farhadi arriva in sala con “Il cliente”, e con esso ha l’occasione di tornare a girare in Iran, sua terra natia.
Una giovane coppia di attori si trasferisce in un nuovo edificio, su consiglio di un amico che si è speso per aiutarli a trovare una nuova sistemazione. A pochi giorni dall’insediamento, e con un trasferimento ancora in opera, in casa entra per errore un “cliente” dell’ex inquilina, che svolgeva un mestiere delicato in quell’appartamento. L’errore si trasforma in incidente, e l’incidente in trauma. La coppia dovrà convivere con un peso che metterà alla prova la loro relazione, in bilico tra rabbia, amore e vendetta.
Il linguaggio cinematografico di Farhadi è asciutto, pulito di ogni artificio e senza alcuna voglia di “imbellire” la ripresa che è per lo più a mano, quindi vacillante, instabile come i rapporti umani, sempre in bilico nel loro concatenarsi e relazionarsi. C’è un soggetto preponderante ne “Il cliente”, ed è la vendetta, alimentata da una società (in Iran ancora più che da noi) patriarcale, fortemente religiosa, che attribuisce molto peso all’orgoglio, alla dignità dell’essere umano e del nucleo familiare. Il protagonista non potrà dunque accettare la violenza subita dalla compagna, perché il torto deve essere sanzionato, e il colpevole umiliato pubblicamente. Nella seconda parte il film si tinge di toni drammatici e si fa thriller nell’escalation di vendetta che non è mai saziata. Non è però un’escalation hollywoodiana, (come può essere un Saw – l’enigmista) ma piuttosto uno stratificarsi di sguardi e volti umani che si fanno stanchi, consumati e allo stesso tempo carichi di energia distruttiva. Non c’è violenza fisica nel film (al di là di uno schiaffo tra uomini, scena di maggior carica simbolica) ma c’è una spropositata violenza morale, costituita da norme non scritte ma riconosciute da tutti gli individui, e che, infrante, cospargono i propri pezzi lacerando le carni dall’interno.

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