Recensione su Alla ricerca di Vivian Maier

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Il potere delle immagini / 26 Luglio 2015 in Alla ricerca di Vivian Maier

Sono da sempre affascinato dalle vite vissute nel mistero o meglio vissute secondo ciò che il nostro destino ci comunica da dentro senza curarsi troppo del fatto se quanto comunicato riscontrasse il consenso o meno di tutto il resto del mondo.

Non sono sempre vite positive, sempre che si possa definire un grado di valore univoco
e un metodo di giudizio ma rimangono in ogni caso vite che mi affascinano molto.

Mi affascina provare ad addentrarmi nei possibili perchè, nel possibile modo di pensare
di quelle persone, immaginarne le priorità, i sentimenti, il peso dei loro secondi e le strade dei loro pensieri.

Sono consapevole che ogni cosa che di loro mi ritrovo ad immaginare potrebbe essere quanto di
più lontano dal loro essere però mi piace provarci lo stesso, perchè spesso mi imbatto di qualcosa
di nuovo, di sconosciuto, di in praticato, di strano, insolito inconsueto e nel mezzo di quei termini
io mi sento sempre a mio agio… non provo mai paura quanto piuttosto sempre attrazione

In questo caso a rendere la sua storia ancora più interessante è il fatto che ciò che oggi ci fa conoscere
la sua esistenza sono le sue fotografie..

E così rimango terribilmente affascinato dal lavoro dello storiografo (se torno a nascere mi piacerebbe molto
fare un lavoro di questo tipo) che l’ha letteralmente scoperta e messa in mostra all’umanità.

In pratica questo ragazzo acquista ad un asta nel 2007 una scatola nella quale trova tra le altre cose un sacco di negativi non sviluppati… osservando questi negativi tale John Maloof si rende conto che le foto contenute in quella scatola nascondevano non solo ricordi, ma storie, avevano qualcosa di particolare, parlavano…raccontavano erano un autentico sguardo sul mondo per la generazione di quell’epoca. In pratica un autentico patrimonio storico.

Così Maloof sente che non avrebbe potuto accantonare così la scoperta ed inizia una ricerca sull’autrice di quelle foto scoprendo con sorpresa che non si trattava di una fotografa di professione ma di una tata.

Vivian Maier in vita era una tata, una tata che non poteva resistere all’istinto di fotografare il mondo attorno a lei.

Pian piano scopre la sua storia o quello che si è in grado di stabilire dai racconti di chi l’ha avuta come bambinaia, di chi è stato il suo datore di lavoro o di chi l’ha semplicemente incontrata nel suo percorso.

Ora i racconti sono frutto di riflessi di una parte della vita di questa persona silenziosa e misteriosa che a quanto ho potuto capire non si è mai raccontata a nessuno, il suo riservo in qualche modo inquina i ricordi e i racconti di chi l’ha vissuta e il suo riconoscimento attuale a personaggio storico importante almeno per la storia della fotografia lo fa ancor di più, perchè inevitabilmente porta noi esseri umani a mitizzarne o smitizzarne in qualche modo anche quella piccola parte di semplice esistenza che Vivian Maier ha lasciato di se.

Ho visto il documentario ma diffido di molto di quello che ho sentito e per altro lo reputo piuttosto superfluo, io credo che in casi come questo più che affidarsi ai racconti di chi ha visto il riflesso di questa donna valga la pena guardare con il suo occhio ciò che lei ha visto, guardarla negli occhi, cercare di leggerne lo sguardo e attraverso ad esso…

non mi importa se era buona, bella, brutta o cattiva, non importa se fosse pazza o sana di mente, non importa se avesse turbe o se fosse riservata, importa ciò che ha fatto e ciò che ha visto, ciò che ci permette di vedere… ogni sua foto parla, racconta quello che forse lei non era in grado di fare…

Vivian Maier è stata un veicolo, dedicare qualche attimo di tempo salendo a bordo senza farsi troppe domande per me è e rimane una grande possibilità…

4 commenti

  1. Stefania / 27 Luglio 2015

    Da parte mia, invece, ho trovato interessante venire anche a conoscenza delle “opinioni” delle persone che hanno incontrato la Maier, perché dimostrano che l’immagine che gli altri hanno di noi è sempre e comunque soggettiva: volenti o nolenti, siamo tutti dei prismi che irradiano riflessi cangianti a seconda dei momenti e delle situazioni e credo che uno dei punti di forza del documentario risieda anche nell’ambiguità con cui la Maier ha involontariamente caratterizzato la propria vita.

  2. Erik / 27 Luglio 2015

    condivido perfettamente, per altro tutto il documentario è costruito, e con esso la nostra interpretazione personale della Mayer, su quello che le persone che l’hanno conosciuta hanno raccontato, forse ancor di più di quello che lei ci ha inconsapevolmente lasciato.. Quanta “verità” ci sarà.. quanto dell’immagine che ognuno di noi ha costruito può corrispondere alla realtà??

    Mi piace pensare che questo punto di forza che hai perfettamente descritto sia una semplice conseguenza della singolarità di ogni individuo e dei riflessi cangianti (immagine che mi è piaciuta moltissimo) che gli altri possono cogliere… e non una precisa scelta commerciale…

    ad ogni modo rimane molto affascinante provare ad entrare nella testa della Mayer e farlo mescolando il suo sguardo con quello di chi l’ha vissuta…

    • Stefania / 27 Luglio 2015

      Sì, molto 🙂 Il documentario è decisamente riuscito, secondo me, anche per questa “libertà” che lascia allo spettatore.

  3. Erik / 27 Luglio 2015

    condivido perfettamente… 😉

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