Recensione su Barriere

/ 20167.1110 voti

Un rivolo di parole che trova tra i caratteristi forme attraverso cui scorrere e generare emozioni. / 27 Febbraio 2017 in Barriere

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Dopo l’ampio successo teatrale ottenuto con Fences, Denzel Washington adatta per il cinema l’omonima pièce, che valse ad August Wilson il premio Pulitzer per la drammaturgia.
Una trasposizione che non tracima dal contesto, facendo presa fin troppo sulla platealità di tempi e linguaggi.
I dialoghi verbosi, ridondanti, ‘’eccessivi’’, non trovano oltre lo sfondo drammatico un vero spazio ove collocarsi, andandosi a sfumare fra le meccaniche e ampollose metafore sportive, che si possono enumerare nella pellicola.
Washington, difatti, sembra quasi smarrire l’idea di cinema, incastrandone egregiamente soltanto i tasselli fondamentali.
Un rivolo di parole, quindi, che trova però tra i caratteristi (interpretati magistralmente dallo stesso Washington, e da una Viola Davis stratosferica) forme attraverso cui scorrere e generare emozioni, per quanto intrappolati in una inconcludente vichyssoise verbale ( cit. ).
La pellicola, però, malgrado tutto, riesce a proiettare con estrema efficacia la figura sommessa, desolata, di un uomo ( Troy Maxson ) verso cui risulta quasi impossibile provare empatia. Una figura disadorna di quei valori che in fondo rispecchiano il ruolo di genitore e marito.
Denzel Washington è abile a descrivere un personaggio che vede nei suoi cari solo mere responsabilità. Oneri che nel tempo assumono i caratteri di un fardello. E nel suo egocentrismo, mascherato da severità, inanellare rimpianti, dolori e illusioni. Illusioni che creano barriere insormontabili.

Lascia un commento