Recensione su Favolacce

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Camminare sulle uova / 15 Maggio 2020 in Favolacce

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Sette stelline e mezza)

Favolacce è una suggestiva sincrasi, non solo a livello linguistico, tra favola (nerissima) e parolacce.
Premiato in Berlinale 2020 per la miglior sceneggiatura, il nuovo film di Fabio e Damiano D’Innocenzo si basa su un antico artificio letterario: il ritrovamento di un manoscritto. Cervantes, Walter Scott, il Manzoni, Umberto Eco hanno usato questo escamotage nelle loro opere più famose.
La voce narrante del film (Max Tortora) dice di aver trovato il diario di una bambina nella spazzatura e, poiché il manoscritto si interrompe improvvisamente, lo ha completato finché ha avuto spazio libero sulla carta. Il narratore (alter ego dei D’Innocenzo) avverte il pubblico che, ascoltando questa storia, si potrebbe restare insoddisfatti, che il racconto potrebbe essere imperfetto: “Quanto segue è ispirato a una storia vera. La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata.
Si scherniscono, i D’Innocenzo. Ci prendono in giro, i gemelli di Tor Bella Monaca.

Perché, invece, il loro secondo film è molto ispirato, lo dico in senso letterale. È una sofisticata bomba a orologeria (il riferimento non è affatto casuale) che attinge a piene mani da un ampio bagaglio letterario, cinematografico e di esperienze personali, in cui ogni dettaglio tecnico, narrativo e formale è accuratamente calibrato per turbare profondamente lo spettatore.
Esagero, ne sono più che consapevole, ma, a freddo, confesso che sono portata ad azzardare che perfino il cattivo audio di alcuni passaggi del film sia calcolato. Il fastidio generato dal fatto di non distinguere per bene o del tutto certe battute ha influito sul mio stato d’animo, mettendomi in costante allerta, coi nervi tesi. “Se perdo anche il prossimo dialogo, sono fregata: non ci capirò più niente”, mi dicevo. Camminavo sulle uova, come i bambini del film.

I D’Innocenzo sono cresciuti divertendosi a riscrivere da cima a fondo le sceneggiature di film famosi: sanno bene come smembrare un organismo cinematografico e ricomporlo dandogli un aspetto diverso e un po’ freak.  
Dopo accurata masticazione e digestione di vasta materia, quindi, Favolacce evacua.
Favolacce è una storia di sangue e feci conservata in un contenitore asettico: con le sue villette anonime (dentro e fuori) e il vicinato in ordine, puzza dell’ipocrisia dei suoi personaggi bugiardi, trasuda malanimo, ira trattenuta a stento, piccinerie e depravazione. 
Infine, profuma di un tombale afrore biblico: “vi fu un grande lamento in Egitto, perché non c’era casa dove non vi fosse un morto” (Esodo 12,29-30). La morte dei primogeniti, speranza in nuce per un mondo potenzialmente diverso in cui, però, germina la gramigna (l’ossessione per le apparenze, il sesso come atto di autoaffermazione, la sottile prepotenza), è la piaga che colpisce una generazione di genitori egoisti, distratti, incapaci di esprimere affetto incondizionato e laidi, porci travestiti da uomini.

In maniera analoga a La terra dell’abbastanza, che era come eppure diverso da i film di Caligari e Garrone (con cui i D’Innocenzo hanno lavorato a Dogman), Favolacce ricorda tantissime cose, ma non è nessuna di esse e, qui, ha la sua forza.
Per me, per esempio, è il Lanthimos di Kynodonthas che incontra l’Haneke di Funny Games e Il nastro bianco, l’Alexandros Avranas di Miss Violence, I figli del grano e Il corpo di Stephen King, Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides e Sofia Coppola, il Serrador di Ma come si può uccidere un bambino? e Il villaggio dei dannati di John Wyndham/Wolf Rolla/John Carpenter. Ma, qui, i paralleli sono un po’ fini a se stessi, perché è il risultato, molto perturbante e, a suo modo, raffinato, che conta.
Il film è pervaso da un’atmosfera sospesa (come la stagione estiva in cui è ambientato) che alimenta l’incapacità dello spettatore di definire con certezza cosa sia vero e falso in una storia di finzione che ricorda la realtà.

Validissima operazione di casting, con una grande attenzione alla fisicità, ai volti degli attori, e molto bravi tutti gli interpreti, dai bambini agli adulti, su cui spicca, per notorietà e negatività del personaggio, Elio Germano.

5 commenti

  1. Korova / 30 Agosto 2020

    Se l’audio incomprensibile in alcune parti è voluto, allora sono veramente i nuovi geni del cinema italiano, perché già è difficile pensarla… ma metterla in atto è come un salto nel vuoto. Quei momenti di chiacchiericcio incomprensibile mi facevano ribollire dentro, forse per spingere lo spettatore verso il personaggio di Elio Germano concettualmente, portarci al limite dell’esplosione come poi succede al suo personaggio, per metterci ancora più a disagio a conti fatti. Ripeto… se l’effetto è voluto, è terrificante!! 😀

    • Stefania / 31 Agosto 2020

      @stee: non sono ancora riuscita a capire se il “problema dell’audio” sia stato voluto o meno. Per quanto, in Rete, abbia letto molti commenti indinniati!!1!! per i passaggi poco comprensibili, non ho trovato nessuna dichiarazione ufficiale in merito.
      Però, penso che, se si fosse trattato di un errore tecnico, credo che, dalla presentazione di Berlino in poi, avrebbero fatto qualcosa di tecnico per risolverlo (ho parlato con una persona – romana, fra l’altro, quindi avvezza all’accento, alla parlata- che aveva assistito alla proiezione in Berlinale e mi ha detto che, anche lì, c’era stato lo stesso problema).
      Quindi, boh, con tanta tanta tanta ingenuità, mi piace credere che la cosa sia voluta e che si inscriva con coerenza nell’atmosfera e nella “logica” del film.

  2. tylerdurden / 3 Settembre 2020

    Purtroppo non sono riuscito a guardarlo dopo mezz’ora ho abbandonato il film. Mi è sembrato il classico film italiano per pochi

    • Stefania / 3 Settembre 2020

      @tylerdurder: in che senso “classico film italiano per pochi”?

      • tylerdurden / 3 Settembre 2020

        @Stefania Un film alla fratelli Taviani per intenderci, sicuramente bello, valido con una forte critica sociale che però può essere guardato solo da una piccola fetta di pubblico.Un film allusivo e metaforico in cui non si capisce nulla, io francamente non ci ho capito nulla (come direbbe Sergio di Boris). Per carità sarà sicuramente un mio problema ma l’ho trovato noioso, con un audio pessimo e pretenzioso. Posso capire perchè sia piaciuto, non dico che è un brutto film, anzi sicuramente io non sono abbastanza colto per capirlo, ma l’ho trovato un film come tanti, che rientra in quei film che facciamo da anni, melodrammi verosimili. Non so se mi sono spiegato

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