Recensione su Fargo

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10 Febbraio 2015

Questo interessante ritratto della stupidità e della malvagità umana sembrerebbe, stando ai titoli di testa, ispirato da un fatto realmente accaduto. In realtà non è così e quel messaggio iniziale non è altro che uno stratagemma, peraltro efficace, dei Coen per mantenere altissimo il livello di coinvolgimento emotivo e di partecipazione dello spettatore.
La storia del venditore di automobili che si accorda con due lestofanti per far rapire la moglie ed estorcere così dei soldi al ricco suocero, e di come tutto ciò degeneri in una carneficina casuale e disordinata, non è infatti realmente accaduta così come la vediamo rappresentata sullo schermo, ma è comunque una combinazione di molteplici fatti di cronaca nera avvenuti per il Paese e ritagliati e incollati dai Coen in una sceneggiatura originale magistrale, che è stata insignita giustamente dell’Oscar.
Ma Fargo è anche l’affresco, cinico e distaccato, impietoso e per certi versi un po’ snob, di quel nord degli Stati Uniti provinciale, montagnino, quel nord fuori dalle grandi rotte commerciali e turistiche, tra Minnesota e North Dakota (sembra più Canada che Stati Uniti, con la neve che ricopre interi paesaggi).
Quel nord fatto di gente semplice, dalle vite banali, allegre come un elettroencefalogramma piatto.
L’occasione è ghiotta per far entrare in gioco la sottile ironia dei Coen, che prima scimmiottano queste persone, neanche troppo velatamente, poi li presentano come individui apparentemente imperturbabili, anche di fronte a crimini efferati: è lo humour nero dei Coen, del resto, e può piacere o non piacere. Io lo trovo affascinante e piacevole, anche se ovviamente fa perdere in verosimiglianza.
L’intreccio, in ogni caso, si trascina in questo climax di degenerazione e insensatezza che culmina in un finale per stomaci forti, dove tutto alla fine sembra mettersi a posto tranne l’eredità di una follia che ha lasciato una decina di cadaveri in più da annotare nei registri anagrafici. Quanto meno è ristabilita la pace nella comunità, ciò a cui probabilmente quei sempliciotti cittadini di campagna sembrano ambire più di altro.
Venendo agli interpreti, William Macy, nel ruolo del marito della rapita, ha innegabilmente il vis du role, quello dell’uomo medio senza attributi, eternamente spaventato, che per cavarsi da un impiccio commette un guaio dieci volte più grosso. Gli basta tenere quell’espressione per tutto il film per uscirsene alla grande.
Steve Buscemi, che interpreta invece uno dei due rapitori, è meraviglioso a tutto tondo. Per me è il più grande caratterista di Hollywood e in questo ruolo principale è stato davvero all’altezza.
La protagonista femminile è Frances McDormand (moglie di Joel Coen), che interpreta la poliziotta che indaga, mentre è incinta al settimo mese, sull’intero caso (partendo dall’indagine sulle morti accidentalmente verificatesi nella giurisdizione del suo piccolo paese). Per questo ruolo la McDormand ha vinto l’oscar come miglior attrice protagonista. Ebbene, non mi sembrava esattamente un’interpretazione da oscar ad essere sincero. Non so se abbia influito il fatto di aver recitato quando era realmente in gravidanza. Può darsi, e la cosa è sicuramente degna di encomio. Tuttavia la sua recitazione stile Signora-in-giallo, con una punta ulteriore di imperturbabilità, non mi ha francamente entusiasmato.

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