Recensione su Fantasticherie di un passeggiatore solitario

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Incertezze di un passeggiatore originale / 19 Novembre 2015 in Fantasticherie di un passeggiatore solitario

Posto che, molto probabilmente, per comprendere parte del sottotesto di questo lungometraggio occorra conoscere il pensiero di Jean-Jacques Rousseau e, forse, il contenuto del centinaio di pagine che costituiscono la sua ultima opera, Le fantasticherie… (1782), giusto per avere un appiglio a determinate scelte narrative (cose di cui non dispongo), sono abbastanza combattuta, mentre mi accingo a commentare l’opera prima di Paolo Gaudio.

Se, da un lato, essa rappresenta sicuramente un unicuum nella proposta cinematografica italiana attuale e le sue caratteristiche tecniche (animazione, effetti speciali e visivi) sono indubbiamente di notevole qualità e mostrano una decisa padronanza di più tecniche, dalla claymation all’animazione frame by frame, meritandosi un deciso plauso, d’altra parte il film arranca sotto il profilo narrativo, risultando nebuloso in più parti, dilatato, spesso inconsistente, incerto nella gestione della materia.
In particolare, ritengo che i dialoghi siano uno dei punti più deboli della sua architettura e, paradossalmente, la sezione animata in stop-motion e priva di parole è quella che, avvalendosi della sola forza delle immagini, incide maggiormente: forse perché, fra le tre, è quella con un’identità più marcata, quella che, con l’ausilio di forme e colori adeguati, evoca precisi contesti (reali ed onirici, quasi psicanalitici), rievocando con convinzione selve oscure, foreste nere.

Il cuore del film, ovvero il nucleo delle connessioni esistenti fra i tre piani del racconto, rappresentato dalla natura della passione del “ragazzo con la sciarpa” (Theo) per i libri incompiuti, è ben strutturato, con intersezioni tra presente e passato (finalmente) ben bilanciate, raccontate in maniera essenziale e supportate da belle scelte estetiche.
La mia impressione, quindi, è che il film azzardi, ma non osi fino in fondo, o che, strada facendo, abbia perso in qualche modo compattezza. Ne è un esempio, per dire, la parentesi dedicata alla “bottega” che perde in fretta il suo afflato leggendario, diventando un surplus narrativo fine a sé stesso.

Insomma, le premesse sono eccellenti e la resa estetica è davvero interessante: il difetto maggiore del film, ribadisco, sta nella sua incertezza narrativa, cosa che, purtroppo, inficia un prodotto altrimenti meritevole.

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