Recensione su Enemy

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Da Fichte alla finzione / 16 Gennaio 2022 in Enemy

Molti interpretano la storia di “Enemy” come la trasfigurazione di un caso di schizofrenia, laddove in parte si potrebbe considerare che il protagonista, Adam, un docente di Storia all’università, nel momento in cui si sdoppia in Anthony, l’attore esuberante e spigliato che sarebbe voluto diventare, proietta un altro sé stesso in quanto coscienza che genera un intero mondo attorno a lui. La produzione si riferisce all’enigma dell’identità e della disidentificazione, ma i dialoghi troppo scarni e qualche lacuna nella sceneggiatura non fanno emergere questo aspetto, offuscato da situazioni che richiamano il tòpos dei gemelli e la dissociazione psichica.

Il regista strizza poi l’occhio a “Wide eyes shut”, introducendo un filone carnale che, come il registro onirico, è mal integrato. Anche la dimensione politica della parte iniziale resta appiccicata.

La fotografia e la recitazione degli attori sono degne di nota, nondimeno la produzione manifesta alcunché di irrisolto. Va qui precisato che i limiti della produzione riflettono, in una certa misura, quelli del romanzo di José Saramago, “L’uomo duplicato”, cui la pellicola si ispira.

Non sappiamo se la realtà sia un’allucinazione individuale o collettiva, ma sappiamo che è un incubo ad occhi aperti.

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