Il quotidiano e l’assurdo / 20 Luglio 2019 in Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il titolo, già molto enigmatico, si riferisce al dipinto di Bruegel Il Vecchio, “Cacciatori nella neve”, che vanta già precedenti cinematografici illustri, Solaris (1972) e Lo specchio (1974) di Tarkovsky e Melancholia (2011) di Von Trier. Una serie di scene a camera fissa, con profondità di campo e luce uniforme, stranianti e quasi del tutto slegate fra loro, alcune lunghe altre molto brevi, invitano lo spettatore più curioso ad analizzare lo spazio vuoto mentre vi si svolgono poche interazioni umane. L’essenzialità e la quotidianità di alcune di queste scene, quelle più marcatamente realistiche, sono anche un invito a riflettere sulla condizione umana, riflessione, sembra dirci il regista svedese Roy Andersson, possibile solo fermando spazio e tempo. Il piccione fermo ad osservare è quindi lo spettatore, al quale viene offerta questa possibilità.
Lo stesso meccanismo comico, una comicità estremamente calibrata e basata sulla parodia e il non-sense, ha bisogno del suo tempo per tramutarsi pirandellianamente in umorismo, quando ci accorgiamo del suo sottofondo malinconico. I dialoghi del film sono pochi, a volte si tratta di monologhi, altre volte di formule convenzionali, come il reiterato telefonico “Sono contento di sapere che state bene”, oppure di dichiarazioni che stridono con l’evidenza, come la finalità ludica degli articoli per carnevale e il comportamento dei due venditori, nonchè lo scarso appeal degli oggetti proposti. Siamo di fronte a paradossi da teatro dell’assurdo, ma anche lo spaesamento e l’apporto onirico e simbolico del surrealismo hanno un peso rilevante, Buñuel e Dalì in primis, come nell’ingresso dell’esercito settecentesco e del re a cavallo nel bar, o nella macchina rotante di sterminio.
Se sia solo un grande esperimento narrativo o nascoste tra le immagini e i simboli ci sia una polemica contro la contemporaneità, una critica alla monarchia e alla società svedesi, alle condizioni di vita e abitative degli anziani, un messaggio animalista o altro, non è facile arguirlo. Si può però dire che è un tentativo ben riuscito di codificare una via intermedia tra il cinema grottesco nordamericano di matrice ebraica, alla fratelli Coen, e il minimalismo esistenziale europeo, eliminando alcuni difetti dei riferimenti, come la concitazione logorroica del primo e l’assenza di ironia del secondo.
Oltre ai richiami a Bruegel e ai surrealisti, già citati, aggiungerei quelli a Vermeer e Hopper, pittori che in epoche diverse hanno usato il realismo per congelare un momento banale e quotidiano della vita e lasciare agli osservatori il compito di estenderlo, interpretarlo e universalizzarlo.

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