5 Recensioni su

Elephant

/ 20037.4346 voti

“Mai ho visto un giorno così brutto e così bello. “ / 2 Aprile 2016 in Elephant

Probabilmente era l’obiettivo del regista(il Van Sant di Will Hunting)ma questo film riesce a farti gridare aiuto per quei personaggi che nella prima parte hai imparato a conoscere e per cui ormai provi un qualcosa di non ben identificabile.La sensazione di impotenza che senti alla fine è qualcosa di veramente toccante,il più grande pregio di questo film.Quei lunghissimi piani sequenza ti fanno identificare in ognuno di quei ragazzi e ti proiettano in quella surrealtà “normale” che viene lungamente descritta nella prima parte di Elephant.Film realizzato in modo impeccabile,seppur la prima parte potrebbe stancare data la costante ricerca della immedesimazione nei personaggi che è richiesto allo spettatore.

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Senza titolo / 16 Maggio 2013 in Elephant

Che film. Spaesante. Mia madre appena finito di vedere esclama assonnata: “che brutto film, pesante come un elefante”. Dargli torto? Non proprio, non è così semplice. Il fulcro sta nei caratteri psicologici e psicosomatici del cinema stesso: possiamo dire che questo è cinema? Certo, se usiamo le categorie in modo (giusto) subordinato ad un mero incasellamento a posteriori. Altrimenti questo non può essere chiamato cinema, semmai videoarte. Se volessimo addentrarci meglio dentro diremmo che questo è cinema della riflessione, una visione che non si esaurisce negli 81 minuti, ma si prolunga grazie alla totale fusione dei tempi filmici con i tempi reali dello spettatore. Lunghissimi piani sequenza e lenti movimenti di camera alimentano un dubbio nello spettatore onniscente: la pellicola mi ha catturato nel suo campo gravitazionale o ne sono totalmente fuori? E’ una domanda che mi sono fatto spesso in questa ora e venti di visione, capendo solo alla fine il particolare meccanismo con cui si instaura la relazione. Le riflessione sono tante e raramente un titolo riesce a racchiuderle così bene come in questo caso. Gus Van Sant possiede quella semplicità disarmante di cui l’uomo non sembra essere più dotato, e la dichiarazione di intenti non riesce a smentire l’effetto finale.

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23 Dicembre 2012 in Elephant

Liberamente tratto dalle vicende del massacro alla Columbine High School di Littleton, Colorado.
Temi che purtoppo tornano drammaticamente di attualitá con chirugica cadenza.
Van Sant dipinge asetticamente la banalitá della quotidianitá e insieme la banalità del Male.
In una high-school di Portland tutto procede come in una qualunque normalissima giornata. Ma é una normalitá soffocante, angosciante nella sua lentezza.
C’é John che é arrivato per l’ennesima volta in ritardo, e che viene ripreso dal preside, e che poco prima aveva guidato al posto del padre ubriaco.
C’é Eliah, con la sua passione per la fotografia.
C’é il belloccio della scuola che si vede con la sua ragazza dopo aver attirato lo sguardo ammiccante delle teenager per i corridoi.
C’è la sfigatella tutta occhiali e felpona derisa dalle bulimiche giovani vamp.
E poi ci sono Alex e Eric. Uno é vittima di bullismo e profondamente introspettivo. Nutre un rancore profondo che accumula dentro di sé con propositi di vendetta. L’altro é un ragazzo leggero, un clone di Eminem quanto all’aspetto, che passa il tempo con i videogiochi violenti.
I due progettano ed eseguono l’orribile massacro dei propri compagni di scuola, apparentemente senza un motivo o probabilmente con troppi motivi scatenanti. Questo dubbio di fondo é forse il maggior risultato concettuale raggiunto dal regista: dopo avere implicitamente elencato decine di apparenti moventi “sociali” (i videogiochi, il clima familiare, il bullismo, i cattivi esempi del mondo musicale, la facilitá con cui ci si può procurare un’arma, persino le simpatie per il nazismo) la assoluta freddezza dell’esposizione porta lo spettatore a propendere per un generale e angosciante senso di ineluttabilitá e inspiegabilitá del Male.
Van Sant segue spesso i ragazzi alle spalle lungo interminabili camminate in giro per la scuola, generando un’opprimente sensazione di viaggio verso l’ignoto: come se quei ragazzi vuoti e soli, profondamente soli, ci stessero guidando verso i più temibili meandri della nostra psiche.
La solitudine dei ragazzi é esaltata magistralmente dalla scelta stilistica di un’atmosfera ovattata, una camera d’aria angosciante e destabilizzante.
Altro aspetto fondamentale é l’uso del tempo: le vicende si incrociano da diversi punti di vista in un unico momento clou, quello immediatamente antecedente all’ingresso di Alex e Eric nella scuola. Le scene sono dunque cronologicamente distorte, in un vai e vieni temporale che é forse la scelta stilistica più interessante di Van Sant.
Perchè per il resto il regista pare un pò crogiolarsi accademicamente in scelte un pò forzate: in particolare mi riferisco ai lunghi piani sequenza, a volte con la camera che gira in tondo con una lentezza inutilmente disarmante.
Ma ci sono anche momenti naturalistici emozionanti: le lunghe inquadrature dei cieli nuvolosi dell’Oregon, ma anche quelle del foliage autunnale (fantastica la carrellata iniziale lungo il viale alberato). Come se soltanto la Natura potesse redimerci e affrancarci dal Male, oscuro prodotto dell’agire umano.
Musiche di Beethoven, Per Elisa e il Chiaro di luna, suonate peraltro al piano anche da uno degli assassini.
Elephant é l’Urlo di Munch della cinematografia contemporanea.

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CalciNellePalle / 13 Novembre 2012 in Elephant

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Elephant di Gus Van Sant dura solo 81 minuti, quindi potrebbe sembrare una cosa “rapida ed indolore”, come quando ti strappano un cerotto e ti po
rtano via un quintale di peli, ed invece no!
Elephant è un’acutissima agonia, invisibile ma lancinante, paragonabile alla bastardaggine di quei sottilissimi e insidiosi taglietti fatti con la carta, solitamente in punti particolarmente utilizzati della mano. Un fastidio insopportabile, ma che devi tenerti finchè non passerà. E per fortuna, prima o poi, tutto passa.

Il film è ambientato in un normale giorno, in una normale scuola e vede come protagonisti dei normali studenti, con dei problemi normali. E’ il racconto di una mattina come un’altra, osservata da varie prospettive che si incroceranno poi nella tragedia. Perché ormai è risaputo che Elephant è una delle tante letture del massacro avvenuto alla Columbine High School, nel 1999, in cui persero la vita una dozzina di studenti.

Più della metà del tempo è dedicata a riprendere schiena, spalle e nuca dei ragazzi che la telecamera pedina nel vuoto asettico dei corridoi scolastici, come per spiarli silenziosamente. Forse è un richiamo al tipo di inquadratura (quasi) in prima persona dei moderni videogiochi (che vengono citati in una scena semi-saliente), o forse è solo una fotografia indifferente e distaccata di questa realtà che vuole farci immedesimare di più nell’ambiente, visto che immedesimarsi con i personaggi è impossibile.
Sono i classici studenti stereotipati, visti e rivisti in ogni film americano, per i quali non c’è bisogno di un’approfondita analisi per conoscerli. Sappiamo già tutto quello che c’è da sapere. C’è il belloccio, desiderato da ogni ragazza, la sfigata occhialuta e brufolosa (che a me inizialmente sembrava un uomo..) derisa dalle compagne, le fighette snob e bulimiche, gli emarginati, i sognatori etc. Tutte cose già mangiate, digerite e vomitate dal nostro bagaglio culturale, ormai da anni. Una serie di inutili “identità” che ci viene gettata lì superficialmente, così come la relazione fra di esse, colorite malamente da banali e magrissimi dialoghi presenti nella routine di ognuno di noi, che credo vogliano sottolineare l’incurabile solitudine provata da questi giovani disagiati (ognuno a suo modo).
Anche le azioni quotidiane, lente e noiose, sono messe al bando, spesso totalmente ignorate dalla telecamera, che preferisce puntare su primi piani imbarazzanti e privi di spessore, di questi attori non professionisti (ma non per questo scarsi). Ma l’obiettivo di ritrarre una giornata di scuola tipo, reale e credibile, viene centrato in pieno, non posso negarlo. Anche se potevano bastare benissimo pochi minuti, invece che diluirli, frammentando il tempo, stravolgendo l’ordine cronologico che solo sul finale congiungerà tutti i pezzi. Una trovata interessante, ma per me inutile, in un contesto simile.

Perciò prima di giungere al passo saliente del film, abbiamo in mente la carrellata di personaggi con tutti i loro disagi alle spalle. Perché è questo il punto fondamentale, ma non spiegato, alla quale il regista si astiene dal dare una spiegazione, negando una chiara chiave di lettura allo spettatore. Il disagio. Il disagio che c’è, ma viene ignorato. Così come il disagio provato da Alex & Eric, i responsabili del massacro.
Alex è un emarginato e vittima di bullismo, mentre Eric a vederlo, sembra la miniatura di Eminem (ho letto che in lingua originale l’hanno fatto parlare rappando). Entrambi soli, ma insieme. In un contesto sociale terribile, dove i genitori li scansano e la solitudine si fa pesante, trovando così conforto nella violenza. Si dilettano con videogiochi sparatutto e ordinando armi su internet.. e proprio mentre un pacco contente un fucile giunge a casa, cosa stanno facendo questi due matti del ca**o per ammazzare il tempo? Si guardano un bel documentario su Hitler! Aaah, ma che trovata spiazzante! E in più, come se non bastasse, dopo pochi secondi si slinguano dentro la doccia, nudi (?). Boh, vabbè!

Armati fino ai denti e con indosso delle tute mimetiche FINALMENTE (sìììì, il momento clou è arrivato!) si addentrano nella scuola, con una naturalezza stravolgente ed ESILARANTE in alcuni punti. Perché questa scena può essere tutto meno che reale! Io se vedessi dei miei compagni, che sono visibilmente degli squilibrati, vestiti come dei Marines che mi passano accanto con dei borsoni sospetti, non è che li saluterei come se nulla fosse per poi tornare sulla mia strada!
E soprattutto se sento sparare da un’ora, non andrei a vedere che cosa sta succedendo. Non c’è gente che scappa come dovrebbe, né che reagisce come il comune senso della paura prescriverebbe. Non c’è terrore, né angoscia. Non c’è niente! E’ una delle scene di violenza meno emozionanti che abbia mai visto.
Ok, Van Sant magari era alla ricerca della freddezza in questo film indipendente, una realtà cruda, priva di fronzoli emotivi e cose così, mi sta bene. Mi sta tutto bene! Ma lui ha girato una sequenza surreale. Solo dei lobotomizzati reagirebbero in quel modo! L’unica cosa davvero superfighissima di questa parte, sono i momenti in cui i due “killer” si vedono sfuocati sullo sfondo, e si avvicinano pian piano alla telecamera come se fossero dei leoni affamati in cerca delle prossime gazzelle da sbranare. Basta, fine.

Niente viene spiegato e niente viene approfondito, come si cercasse continuamente un “non-significato”, che in effetti non c’è, e non ci viene presentato, se non tramite i personaggi stessi. Come John ad esempio, scampato al massacro e che pure sul finale resta fuori dall’edificio a guardare la scena, come se nulla fosse successo. Senza emozioni, vuoto come la sua vita, come se non si fosse reso conto di cosa sia realmente avvenuto dentro la scuola che frequenta tutti i giorni.
Insomma Elephant non è un film, è solo una telecamera-segugio che segue dei ragazzini in una giornata tipica, che sarà destinata ad essere una giornata “particolare”, ma solo per loro. Io mi auguro che già domani avrò rimosso ogni ricordo di quest’esperienza che non mi ha lasciato nulla, se non un po’ di rancore e un “vaffanc**o” sulla punta della lingua per Van Sant, che inspiegabilmente ha deluso le mie aspettative! MALEDETTO VAN SANT!

“Stanno massacrando l’intera scuola?!”
“Sticazzi, noi abbiamo già i nostri problemi.”

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Ridi, buffone, per scaramanzia. Così la morte va via. / 25 Giugno 2012 in Elephant

n tanti hanno provato,sempre,a descrivere il dolore.Sia nel cinema,sia nella letteratura,sia nell’arte,sia nella musica.Ma pochi hanno cercato di descrivere il disagio.Van Sant,regista indipendentemente puro nel suo gioco di sguardi,riflette sul linguaggio della modernità sotto forma di follia.”Elephant” non è la cronaca di un avvenimento,la strage nella Columbine High Scholl,ma è la cronaca di un mondo estraneo al mondo reale,in cui la costruzione degli eventi avviene sotto forma di lento e inesorabile canto di liberazione,in stile “Patetique”.La summa del miglior cinema americano delle origini,che torna a pensare in grande,nella sua fiera indipendenza da major,diventa un pacato cinema purgatorio.Non è rapido e indolore,come un brutale omicidio,”Elephant”:Tutto è lento e gli 81 minuti sembrano ore ed ore.Da notare il fatto che per la prima ora vediamo una scuola normale,composta da adolescenti normali,con problemi normali[che spaziano dalla droga,all’omosessualità(Che non è un vero problema,ma è solo un problema per gli altri ragazzi,che ignorano forme d’amore oltre a quello che dovrebbe essere normale,e lo dice un eterosessuale),i problemi familiari e varie],una mattinata normalissima raccontata da più punti di vista che si incontrano nella tragedia.Un’impietosa esplosione di follia pura,che non permette scansioni e attimi di sollievo.Perchè se due ragazzi entrano nella loro classe e massacrano i compagni/amici(amici?),la colpa va sul sistema che li ha resi schiavi e boiate varie.Il luogo comune che gira attorno ad ogni minima vicenda di questo genere è ormai troppo elevato,per essere sciolto nella nuvola di cenere da cui è nato.Ma non inquadra il luogo comune Van Sant e non si schiera.Schierarsi sarebbe stato sbagliato e avrebbe probabilmente nuociuto all’ambizione massima dello splendido lungometraggio.”Elephant” non è solo un capolavoro di arte cinematografica,ma è anche un capolavoro che sembra teatrale,musicale,letterario.Ci sono gli stessi ragazzi,dai capelli lunghi e gli sguardi distorti di “Paranoid Park”,i ribelli di “Belli e Dannati” e i deliri di “Last Days”.Parte dalla cronaca e arriva all’antologia,Van Sant.Una mattina raccontata non come un fatto di cronaca,ma come un romanzo,che si apre con un’apparente tranquillità,incarnata da un cielo blu,con qualche nuvola a minacciare l’apparente stato di tranquillità.Non c’è patetismo in una vera e propria ballata di anime prave,che si scambiano i ruoli,gli odori,i sapori.Perchè c’è più di quello che sembra in “Elephant”.Il tono colorito della vicenda,la mescolanza dei colori,i continui richiami a Kubrick e Murnau,l’andatura lenta e disastrosa della vicenda.Wow! Siamo davanti ad un capolavoro assoluto,fuori dagli stereotipi e fuori dalla massa,dentro la migliore tradizione della complessità prolissa della narrazione,in uno schema preciso che non ammette vittime.Se volete schierarvi comunque,però,riflettete.Come ho letto di recente nel terzo numero dell’interessante saga a fumetti “Dr.Morgue”:”Io sto dalla parte di chi muore”.Probabilmente,il mondo,dovrebbe fare lo stesso.

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