LLLa groupie / 19 Dicembre 2016 in Il cittadino illustre
Daniel Mantovani vince un Nobel per la letteratura. Nel discorso di ringraziamento, si perplime per il fatto che il Nobel è segno della sua archiviazione nel museo letterario, del fatto che non ha più nulla dire, digerito dalla cultura dominante. 5 anni dopo, non ha più scritto nulla, vive con le Reebok addosso, ha una casa figa e una palese depressione. Ha una segretaria che gli elenca appuntamenti e inviti, e li rifiuta quasi tutti. Tra l’altro non si capisce bene perché, è ricco e famoso, con la faccia e i suoi libri sui manifesti, ma non ha una famiglia, un cane, un giro di gnocche su Tinder, niente, vive d’aria e tristezza. Vabbè. Arriva un invito per tenere una serie di lezioni a Salas, paesino argentino in mezzo al niente dove è nato e cresciuto e da cui è scappato 40 anni prima per andare in Europa. Accetta, va da solo. Finisce in questo buco di culo, dove i ricordi sono tanti come le stelle e viene accolto trionfalmente. Tra l’affetto e il pacchiano. Gli impegni, come gli incontri, si susseguono. La sua ex, che è rimasta e si è sposata con un cinghiale. Una ninfetta troppo troppo figa, che lo scopa e poi si scopre esser la figlia della ex. Weirdos che lo vogliono invitare a cena. E il quadro, generale dipinto nei particolari, della provincia, che è la provincia di tutto il mondo. Le casette monofamiliari e sporche. L’asado (o la grigliata) come istituzione. La reginetta di bellezza, i concorsi di invidiosi pittorucoli da strapazzo che si offendono se li strapazzi. I selfie, i poveracci che vengono a chiedere soldi e sedie a rotelle al (con)cittadino illustre. Perché sì, lui è illustre, è andato nel bel mondo, ha vinto. Pian piano il clima cambia, e verso l’ultimo giorno pensi “questo non arriva a domani”. Perché lo odiano tutti, perché se n’è andato ed ha costruito i suoi romanzi e successi raccontando la grettezza e miseria, morale prima che economica, di piccoli paesi immaginari della provincia argentina, cioè casa sua. Sul piccolo, lo sporco e l’ipocrita. Lui parla come mangia, nel senso che non si piega e dice la sua, ormai è sfasato. Parla come se fosse in un salotto intellettuale europeo, porta ragionamenti complessi e intellettuali. Ma non è il luogo, e alla fine gli sparano, il fidanzato della ninfetta (troppo tropp… ah no niente, scusa), che è cinghiale pure lui e infatti sa fare una splendida imitazione del maiale selvatico. Tempo dopo, conferenza di lui che presenta un libro, ha ripreso a scrivere, un romanzo dal titolo che è quello del film. E possiamo immaginare che il film sia il film fatto sul suo romanzo, in un cortocircuito tra realtà e finzione che occhieggia tanto a Borges, molto citato, sui confini che sfumano e sul mestiere di scrivere storie. Se fosse morto, non si sarebbe potuto chiudere il cerchio autoriflessivo di questa trama strategica, che passa dal buffo e il sorriso per le ingenuità dei concittadini di Salas, sinceramente felici di riaccogliere la celebrità di ritorno, al loro lato oscuro e ipocrita. E universale moltissimo.