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Se una notte d’inverno un regista / 17 Aprile 2017 in

Non so se sono in grado di poter fare questa recensione…
qualsiasi cosa che dico è banale, e non di livello, o comunque scontata.
Tutto quello che c’è da dire su questo film è stato detto non so cosa altro aggiungere…
L’impossibilità di trovare un’idea geniale diventa strumento per raccontare la crisi di un uomo e della nostra società.
Il non riuscire a raccontare nulla diviene racconto (esattamente come Calvino aveva fatto in letteratura o Pirandello in teatro).
Sospeso tra l’onirico e la realtà, la crisi in generale diviene per Fellini il tramite per autoraccontarsi, e analizzarsi, mettendo al centro il suo rapporto con le donne, il suo essere cattolico in una società mutata.

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Se lo continuo a vedè mi viene una sincope / 3 Giugno 2016 in

Avevo i pregiudizi su sto film, ho provato a vederlo comunque (anche se, quando ho letto che Big Fish vi si era ispirato, mi sono cacato addosso). Dopo 53 minuti ho ceduto (mi era bastato meno per amarcord e i vitelloni). Credo che non guarderò piu un film di Fellini. Vorrei chiedervi cosa rendrebbe questo film un capolavoro ma ho paura delle risposte.
Noioso, lento, in 53 minuti non è successo NIENTE. Ciaone proprio.

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Ipnosi felliniana / 15 Aprile 2015 in

Quando hai finito la visione di questo film ti ritrovi a frugare nella valigia dei tuoi migliori aggettivi, ma non trovi nulla di adatto. Trovi ogni parola datata, usata, scialba. Ti accorgi finalmente di come la critica non sia onnipotente e onnicomprensiva; ti rendi conto della nebbia mistica, quel confine che separa ciò che sta da una parte e ciò che sta dall’altra dello schermo, e di quanto sia illusorio pensare di poter setacciare ogni cosa dell’arte, perchè alcune cose sfuggono ai tuoi poveri mezzi. E’ come provare a prendere un’anguilla con le mani bagnate, scivola via guizzante e più viva che mai. Fellini mette in connessione sogno, ricordo e visione, ha quella intuizione vitale, accende quella sacra fiamma a cui guardiamo ipnotizzati in trance. Ci nutre di bellezza eterna il solo catalogo della sua straripante, variegata, originale umanità, che affastella primi piani di visi strani, grotteschi, popolari, circensi. La sola istanza demitizzante arriva forse dall’impianto dialogico, così tremendamente nouvelle vague, babelicamente snob, un lavoro di ordito del fido Flaiano e la sua penna spudorata (ma se questo è il limite, signori miei, di cosa vogliamo parlare noi tastieristi da pausa caffè…) Io gli metto un nove, con irriverenza e senso di colpa; mi resterà come una lorda macchia addosso, segno indelebile della mia ignoranza, ma servirà a costringermi ad una seconda visione.
Visto il mio intontimento post visione, posso solo pensare a ricollezionare le sequenze marchiate nella mia mente; l’abbacinante visione collettiva alle fonti dell’acqua santa, le schermaglie di carnalità tra Mastroianni e la Milo, il ballo sulla spiaggia della selvaggia gigantesca Saraghina, il sogno androcentrico del protagonista servito dalle donne della sua vita, il finale con la consueta atmosfera da luna park di periferia, tra desolazione e luci del varietà.

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Questo è cinema… / 17 Marzo 2014 in

Federico Fellini nel 1963 riesce a proiettare la confusione, le incertezze, i sogni, i desideri, i fallimenti,.. praticamente tutte le sensazioni possibili di Guido (regista in crisi d’identità) che vaga nella speranza di avere l’illuminazione per poter realizzare la sua ultima opera cinematografica.
Ma la confusione è tutale e questo film ce le fa vivere nella piana completezza.
Incredibile come nel 1963 Fellini riesca a realizzare un film eterno, mai scontato e mai tanto attuale.
Veramente un bellissimo film, non facile da interpretare, anche lento per i tempi di oggi e quindi difficile da digerire forse per molti ma se visto con attenzione è una vera perla.
Marcello Mastroianni è perfetto.
Sandra Milo è bellissima, mai vista così. Purtroppo oggi è un’atra donna ma negli anni ’60 era veramente molto bella.
E poi, scusate se mi permetto, ma Claudia Cardinale per il sottoscritto è una delle donne più belle al mondo. E anche oggi con i suoi anni è sempre stupenda!!!
Questo film E’ DA VEVERE!!!!!!!!
Ad maiora!

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14 Luglio 2013 in

IL momento in cui, per la prima volta ho assistito al finale di “Otto e mezzo” di Federico Fellini penso sia stato uno degli attimi più belli della mia vita, uno dei più emozionanti, non sto scherzando. Scusate i toni romantici, ma per me, in quel finale si racchiudeva tutto il senso non solo del film, ma dell’intera esistenza. Quella frase “tutta questa confusione sono io”, pronunciata da un indimenticabile Marcello Mastroianni, si portava dietro una quantità di emozioni impressionante. Fellini in questo film, infatti, ci ha infilato veramente di tutto: amore, passioni, paure, fantasie, dubbi, ricordi. Ci sono le pulsioni dell’inconscio, ci sono i desideri, c’è il senso di inadeguatezza, c’è la parodia nei confronti della critica cinematografica “accademica”, c’è la religione, il rapporto con Dio, c’è il bisogno di cercare nuove sensazioni al di fuori della vita coniugale, c’è il tentativo di dare un senso al proprio vagare, e l’incapacità perenne di riuscirci. Gli occhiali si annebbiano e non vedi niente. Tenti di sognare e voli tra i propri sogni, ma con una fune legata al piede ti ritrascinano inesorabilmente a terra. Ci sono le bugie, ci sono gli affetti. Ci sono i preti e ci sono i clown. C’è un continuo girovagare, un tentare nuove vie. C’è una costante malinconia alternata a repentini sprazzi di felicità.

Anche su questo film, essendo uno dei capisaldi della storia del cinema c’è ben poco da aggiungere rispetto a quello che è già stato detto e sinceramente non saprei cosa scrivere. Un gioiello, un film che veramente si merita l’appellativo di “capolavoro” (di cui purtroppo ultimamente se ne fa un abuso impressionante). Nel definire “otto e mezzo” un vero capolavoro, però, non si esagera. Anzi, forse gli sta anche stretto, perché siamo di fronte ad un qualcosa che va ben oltre il cinema. Questa è arte, espressa ai massimi livelli.

Si intitola “Otto e mezzo”, perché è il nono film di Fellini, ma l’ottavo diretto da solo, dal momento che il primo lungometraggio, “luci del Varietà” lo ha diretto in coppia con Alberto Lattuada. Un chiaro riferimento autobiografico quindi, ed infatti il protagonista del film è un regista, Guido, che sta scrivendo un film ed è prossimo alla realizzazione, ma non ha ancora sviluppato un quadro preciso di quel che il film sarà. Non c’è ancora una trama delineata e perciò non riesce nemmeno a dire agli attori che lo assillano, quale parte avranno nel film, perché semplicemente ancora non lo sa, nemmeno lui…Crisi di ispirazione o crisi esistenziale? Oppure troppe idee disordinate? Diviso tra moglie, amante e l’amore per una bellissima attrice, lo vediamo perdersi nel proprio mondo. E restiamo sempre più confusi. Non sappiamo se le scene a cui stiamo assistendo siano parte della sua vita, del suo passato, del suo inconscio o parte del film che sta architettando nella sua mente. Non ha importanza, perché tutto si fonde, l’uno dipende dall’altro, sono soltanto dettagli (bellissimi) della vita di un uomo. Fellini ci trascina con sé, tra caroselli alle terme, hall di alberghi di lusso e camere da letto… cimiteri e bagni turchi…basta lasciarsi trasportare, accompagnati dalle splendide musiche di Nino Rota, talvolta allegre con brio, talvolta più cupe. Le immagini sullo schermo, in uno splendido bianco e nero, sono tra le più belle che potrete vedere.

Eccezionale la scena dell’Harem, (con tutte le donne della sua vita che chiamano Guido, lo trascinano lo baciano e lui si ritrova a dover fare da domatore di tutto quello ambaradan con una frusta), oppure quella in cui viene introdotta la prostituta Saladina, simbolo per Guido della scoperta infantile del mondo del sesso. Non c’è un dialogo sbagliato. Ci sono tanti dialoghi apparentemente vuoti, è vero, ma sono funzionali alla storia. Fra tutti, lo scambio di battute tra Mastroianni e Claudia Cardinale è davvero indimenticabile, sublime..

Guido: Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola ed essere fedele a quella? Riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto e che diventi tutto proprio perché la tua fedeltà che la fa diventare infinita. Ne saresti capace? Ecco ascolta se io ti dicessi, Claudia…

Claudia: E tu… saresti capace?
Guido: No… no questo tipo no, non è capace. Questo vuole prendere tutto, arraffare tutto, non sa rinunciare a niente; cambia strada ogni giorno perché ha paura di perdere quella giusta, e sta morendo, come dissanguato.
Claudia: E così finisce il film?
Guido: No comincia così, poi incontra la ragazza della fonte, è una di quelle ragazze che danno l’acqua per guarire, è bellissima, giovane e antica, bambina e già donna, autentica, solare. Non c’è dubbio che sia lei la sua salvezza”

oppure:

Claudia: Della storia che mi hai raccontato non ho capito quasi niente. Ma scusa, un tipo così, come tu l’hai descritto, che non vuol bene a nessuno, non fa mica tanta pena sai? In fondo è colpa sua. Che cosa pretende dagli altri?
Guido: Perché? credi che io non lo sappia? Come sei noiosina, anche tu.
Claudia: Ah ma non ti si può dire proprio niente! Quanto sei buffo con quel cappellaccio truccato da vecchio! Io non capisco, incontra una ragazza che lo può far rinascere, che gli ridà vita e lui la rifiuta?
Guido: Perché non ci crede più.
Claudia: Perché non sa voler bene.
Guido: Perché non è vero che una donna possa cambiare un uomo.
Claudia: Perché non sa voler bene.
Guido: E perché soprattutto non mi va di raccontare un’altra storia bugiarda.
Claudia: Perché non sa voler bene.”

Quanto ci sarebbe da scrivere effettivamente..
Di fronte a questo film, però, non ci si può limitare alla superficie, alla trama apparente. Come dicevo non è soltanto, la storia di un regista che non sa che film fare, è la storia di uomo che non sa che direzione dare alla propria vita. E’ una metafora, è la storia di tutti noi. Di come ricerchiamo continuamente la felicità, comettendo tanti errore, talvolta facendo delle scelte senza nemmeno saperne il perché…

E’ un film, che pur essendo del 1963, è di una modernità strabiliante. Moderno, attualissimo, anzi…senza tempo. Un’opera che non si può etichettare, che sfugge a qualsiasi definizione…

“E se fosse il crollo di un bugiardaccio senza più arte né talento? Se non fosse una crisi passeggera? Forse è davvero ora di farla finita con i simboli…” dice il critico Daumier al regista Guido… (Anche la trovata di infilarci già tutte le critiche che gli sarebbero state rivolte dopo il film, non la si può non trovare geniale)…

Guido sembra quasi sul punto di arrendersi, la vita lo sta schiacciando, ma poi si rende conto che proprio in quella confusione sta la bellezza…

“Che mostruosa presunzione credere che gli altri si gioverebbero dello squallido catalogo dei suoi errori. E a lei che cosa importa cucire insieme i brandelli della sua vita, i suoi vaghi ricordi, o i volti delle persone che non ha saputo amare mai? “

“Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare e mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature non avevo capito, non sapevo, com’è giusto accettarvi, amarvi, e com’è semplice. Luisa, mi sento come liberato, tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare… ma non so dire. Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso, ma questa confusione sono io, io come sono non come vorrei essere, e non mi fa più paura. Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme. Non so dirti altro Luisa né a te né agli altri. Accettami così come sono se puoi, è l’unico modo per tentare di trovarci.”

A quel punto tutti i personaggi, tutte le persone delle sua vita entrano in scena, inizia la giostra più bella di sempre.
Un inno al cinema, alla vita!

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Il Cinema come Sogno / 19 Giugno 2012 in

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La pellicola parla del regista Guido Anselmi che, crisi creativa perché non riesce a girare il suo ultimo film, si rifugia in una stazione termale nella speranza di ritrovare l’ispirazione. In questa stazione si susseguono diversi personaggi, come il produttore di Guido, la sua amante, la moglie, la protagonista del film che sta tentando di girare. In realtà non esiste una vera trama, ma solo un susseguirsi di visioni dello stesso Fellini come il ricordo della madre, della morte del padre (quasi a simboleggiare un rapporto edipico mai risolto), di sogni, del rapporto con le donne della sua vita, prima amate poi abbandonate, ad eccezione dell’unica che Guido cerca e desidera, ma di cui ci sono solo visioni: l’ispirazione, “interpretata” da Claudia Cardinale. Tutti i personaggi sono in realtà fantasmi del sogno di Fellini, figure ectoplasmatiche che vagano, parlano dei loro pensieri a un Guido sempre più distaccato e tormentato. La sua è l’unica voce che non riusciamo a percepire. Fellini crea un film prima di tutto psicanalitico poi biografico, in cui mette insieme tutte le sue paure, i suoi desideri, le frustrazioni e le sue speranze accavallandole fino a farle diventare indistinguibili. La sua confusione professionale rispecchia quella nella sua vita. Soltanto quando tutto è finito, quando sembra che la sua carriera e la sua vita si sia conclusa, capisce che tutte le situazioni in cui si è trovato, tutte le persone che ha conosciuto fanno parte di lui e li accetta con amore e gratitudine. Le scenografie di Pietro Gheradi sono impressioniste, perfette per il movimenti di macchina sempre fluidi, rafforzate dalla fotografia in bianco e nero pena di forti contrasti di Gianni Di Venanzo. Con questo film Fellini rompe definitivamente col passato, portando al limite la sua poetica, dando il via ad una nuova stagione di tutto il cinema mondiale.

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