Non potete entrare qui, non siete sulla lista / 19 Agosto 2015 in Eden

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Paul vive a Parigi nei ruggenti anni 1992. Va ai rave e ha una gangga di amici con cui ascoltano la musica gggiusta, quella di New York e, con un altro tizio, forma un duo di DJs. Perché è il periodo in cui esplodono i djs. Loro mettono musica garage, e sono di quelli tipici che ti fanno tutto un discorso sui generi e il garage e il funk e l’electro e le commistioni, e il campionamento e il french touch, il jazz e il maddafack, e insomma chiunque ce l’ha una persona amica che parli così e questo film le va segnalato per forza – io lo farò quanto prima. Tra una festa e l’altra, ci sta un’altra coppia di ragazzini djs, che suona alle feste negli appartamenti. Si chiamano Daft Punk (e tutti sentono i Daft Punk la prima volta ed esclamano robe del tipo: Hey! Il ragazzo ci sa fare!). Intanto Paul cresce, si scopa una trafila di ragazze, si pippa una quantità stunning di coca. Sembra che col suo amico possano fare il botto, va a suonare al MOMA a Nuova Iorca, ma per ora no, sempre lì sta, a farsi dare i 20 euro dalla mamma. Intanto lui e il suo gruppo di amici crescono, uno si suicida, le ragazze scorrono, tutti pippano. C’è una seconda parte, Paul passa anni e anni a vivere così, senza riuscire a sfondare o crescere. Mentre nella prima sembrava in controllo, si ribalta la relazione servo padrone, le donne lo prendono e lasciano dietro di sé, come un oggetto non più funzionale alle loro vite. Era già successo con l’intellettualoide ammerigana all’inizio, ma sembrava una cotta giovanile, il meccanismo si ripete invariato con tutte. La coca, che te lo dico a fare, prende il sopravvento, lui ha 30 e poi ancora di più anni, i 20 euro di mamma non bastano più, è sommerso dai debiti. Intanto i Daft Punk, partiti insieme a loro, sono diventati i Daft Punk, e c’è una ripetuta gag di loro, che comunque son ancora in quel giro di musica e notte parigina, che arrivano agli ingressi delle discoteche e vengono puntalmente rimbalzati perché sì, sono i Daft Punk, ma nessuno sa che faccia abbiano, e a vederli sono troppo robbosi. La regista, che tra l’altro è la moglie di Assayas, ha voluto fare l’affresco di una generazione, musicale e urbana, basando il personaggio di Paul sulla vita del fratello Sven, con cui ha scritto la sceneggiatura. Imbarcando una vagonata di musica e un gruppo di adolescenti, sfrontati e pallidi e francesi, che si sentono forti e poi va da sè non lo sono affatto, e per due che ci riescono chissà quanti altri come Paul hanno perso il sogno. Il DJ, quello che fa ballare e impone il ritmo a tutti gli altri, finisce per essere così broken e in balia degli eventi. Nel finale riesce finalmente ad abbandonare l’inerzia e ripartire, azzerando tutto (il conto in banca si era azzerato da solo), a segnare la fine di un’esperienza (–> epoca) irripetibile e la solitudine faticosa con cui si affronta una seconda possibilità.

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