Ecco fatto

In questo lungometraggio d’esordio alla regia, c’è tutto quello che, finora, ha caratterizzato in negativo il cinema (italiano) di Gabriele Muccino: personaggi esasperati ed esasperanti, urla immotivate, affanno perenne, nevrosi mal gestite.

Sia dal punto di vista narrativo che formale, Ecco fatto contiene in forma grezza molto di ciò che, di lì a pochi anni, sarebbe tornato nei film più celebri del regista romano (attori compresi, vedi Pasotti e Santamaria), ma si tratta perlopiù di difetti che, col tempo, Muccino avrebbe potuto smussare e che, invece, sempre nella stessa esagerata misura, sono diventati una specie di suo marchio di fabbrica, linee guida non precisamente virtuose che ripropone di film in film.

Qui, nell’esagitata e sfiancante relazione fra il paranoico e geloso Matteo (Pasotti) e Margherita (la Bobulova), prodromo -spiccicato nelle risoluzioni- di quella fra Accorsi e la Mezzogiorno de L’ultimo bacio e, sottotraccia, di tutte quelle descritte da Muccino, salvo la definizione dello stralunato personaggio di Santamaria, Piterone, ben elaborato a tavolino per suscitare contemporaneamente fastidio e simpatia nello spettatore.