Recensione su Easy Rider

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Born to be wild / 19 Ottobre 2012 in Easy Rider

Tra i tanti titoli “must watch” che mi mancavano, questo è tra quelli cui ho sempre anteposto un pregiudizio. Cioè, praticamente pensavo di sapere già quel che avrei visto; i mitici chopper, i lunghi nastri di cemento delle highways americane, paesaggi mozzafiato, alcol, droga e violenza. La più grande delle sorprese è stata il totale antieroismo dei protagonisti; li immaginavo archetipi tarantiniani, sbruffoni e rissaioli, e invece… Peter Fonda è laconico, impassibile, dolce; pure Hopper e Nicholson (piccola grandissima parte) hanno un tratto quasi “femminile”, sono romantici cavalieri di fine anni ’60. Altra sorpresa la tecnica cinematografica di Hopper, che – piaccia o non piaccia – era totalmente innovativa; il montaggio con la sovrapposizione ‘indecisa’ del frammento finale ed iniziale di due sequenze, e soprattutto il trip di un quarto d’ora buono dell’acido al cimitero, una sequenza mistica, delirante, sacrilega, drammatica, inquietante.
“Parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse”, dice Jack Nicholson, e chiosa: “Quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura”.
La paura “schiavista” e puritana che aggredisce brutalmente l’uomo libero. Il finale, in questo senso, è devastante.

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