Recensione su Oltre le colline

/ 20127.343 voti

16 Novembre 2012

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non ho visto il primo, 4 mesi tre settimane etc etc, di questo film colpisce la ricercata corporeità caravaggesca degli oggetti che sono spesso in primissimo piano mentre i personaggi vivono di sfondo (tavole con libri, candele, mele, piatti, cibi vari, ma anche scarpe sul pavimento, piccoli oggetti sui comodini, corpi), la fotografia che ho trovato molto bella, l’oggettività della rappresentazione. I tempi però sono eccessivamente dilatati per mantenere un filo di suspance.
Canonico il tema e lo svolgimento, la particolarità è che una storia così integrata nel suo paese e così geograficamente ritagliata proprio perché sospeso nelle mappe riesce ad essere condivisibile a molte latitudini: sin da subito si percepisce che l’andamento sarà abbastanza scontato, un convento isolazionista, ortodosso in ogni visione della vita e del mondo, immerso fra credo religioso puro e superstizione non può che essere l’incubatrice di un dramma quando l’elemento esterno porta al suo interno individualismo, amore secolare, autonomia e soprattutto desiderio del mondo.
Tutte le donne che sono dentro il convento o che vogliono entrarvi scappano da una realtà disperata o da un dolore, il convento dona rifugio (Voichita continuamente oppone ad Alina “Dove andiamo?”) e pace rispetto alla guerra che si combatte fuori perché nella logica della spoliazione dal mondo c’è l’abbracciare un insieme di regole che non devono essere neppure introiettate, ma seguite e basta, le regole eliminano il problema dell’autonomia decisionale, regalano riposo allo spirito, sono una tregua che si realizza nella sospensione dell’isolamento. Una delle due protagoniste, probabilmente la più debole, una volta catapultata fuori dall’orfanotrofio vi si aggrappa come unica soluzione di vita, si adegua e trova una sorta di felicità in quell’insieme di compiti e obiettivi che devono essere solo eseguiti. L’altra, la più forte e volitiva, invece segue tutti i passi dell’integrazione nel mondo effettuata dagli ultimi della scala sociale, l’adozione, il lavoro in un mercato occidentale tutto teso allo sfruttamento. E sono due solitudini, l’una resa in cambio della tranquillità e dell’aspirazione al trascendente, l’altra impossibile da sopportare sotto la luce di un bisogno di amore che è impossibile da smorzare. La bravura di Mungiu sta nel rendere l’ambiente del convento nella maniera più oggettiva possibile, la coltre di ignoranza e di superstizione non può cancellare un certo senso di genuinità nei comportamenti dei religiosi che credono veramente in tutto quello che fanno aiutati anche da quell’isolamento che li caratterizza e che, ammantandoli di mistero, li rende anche affascinanti al mondo esterno. Il pericolo dietro l’angolo è che il monolitismo, la chiusura neanche faccia percepire loro l’atto di dissacrazione che compiono all’interno del crimine in cui scivolano (lo spettatore già al primo asse preso dalle suore capisce che si andrà verso una crocifissione simbolica, ma loro vi sbattono, nella negazione, quando un terzo, un esterno lo sottolinea). Alina quindi come novello Cristo in croce perché portatrice di amore.
Scarnificando il tema all’osso Mungiu rappresenta le inquietitudini di quell’occidente così avversato dal prete del convento, ossia le paure, la difficoltà di misurarsi con una realtà complicata, la fuga verso istanze irrazionali, l’abbandono della civiltà come atto di purificazione dalla sovraesposizione tecnologica, il convivere di tante aspirazioni che difficilmente si conciliano (il primo medico sopra la scrivania tiene in ordine, una icona, la foto romantica di una silhouette femminile al tramonto, la Monna Lisa), il disorientamento che induce a voltarsi indietro e ad aggrapparsi, in maniera irriflessa, a codici, regole, routine, perché le regole danno sicurezza e senso di appartenenza.
Due parole sul corpo femminile: è un film su un convento di donne, impossibile non parlarne. L’attacco poi è molto forte in merito, le due protagoniste sono state insieme, il problema della sessualità è spinoso (la prima crisi esplode al momento della confessione della masturbazione), le regole conventuali prevedono ovviamente un lavoro intenso sulla privazione fisica, una delle altre suore veniva picchiata dal marito e costretta a fare figli, nell’orfanotrofio le violenze sono comuni, al primo ricovero c’è la persistenza in primo piano del corpo distrutto di una ragazza che sospettava di essere rimasta incinta, il corpo della donna è impuro durante il ciclo, sembra non poter accedere ai luoghi sacri, c’è un luogo della chiesa interdetto alle donne (ok qui è proprio il sistema della costruzione della gerarchia ecclesiastica che è secolare).
(Potrei spingermi nel notare che il primo medico è uomo e rispedisce Alina in convento (il primissimo, al ricovero è anch’essa donna per la precisione), il secondo medico è donna e molto crudamente accusa di omicidio le suore sottolineando la sua distanza dalla religione, però farei una forzatura, il perché del balletto ricovero/non ricovero ha radici molto più prosaiche, ossia meramente economiche e di posti letto).
Non ho visto il primo film di Mungiu, ma parla del corpo della donna (aborto, procreazione) e anche qui il corpo della donna è centrale: è luogo di battaglia e di appropriazione, oppure viene cancellato, escluso dal mondo, è un pericolo per le donne stesse che lo ritengono un problema, è fonte di peccato. Eppure le violenze sono sottaciute, la colpa è introiettata dalla vittima (Voichita non denuncia il fotografo). Alina è diversa, è l’unica nuda, vuole la corporeità dell’altra, impone la sua fisicità all’esterno, usa il suo corpo per imporlo alla cancellazione e ai divieti del convento, sul suo corpo avverrà la piccola guerra contro il male. Abbiamo un problema con il corpo da sempre e nella modernità questo è divenuto il confine delle nostre passioni ultime, il corpo della donna poi sembra essere con troppi padroni, tanti eccetto quello della donna che vi abita dentro.
Apertissimo in merito il film nel finale: Voichita indossa il maglione di Alina

1 commento

  1. livez / 16 Novembre 2012

    Oh, ora non mi sento più sola! Qualcun’altro ha visto questo bellissimo film!

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