Recensione su Dug Dug

/ 20217.01 voti

Se Padre Pio avesse le ruote… / 11 Settembre 2021 in Dug Dug

Avevo dimenticato quanto fosse bello il cinema indiano. Era un po’ che non ne guardavo, forse perché i festival che frequento non li hanno molto considerati nell’ultimo periodo. Questo è addirittura un esordio, ed è già grandioso e coraggioso, nella forma e nel contenuto.
Si comincia con dieci minuti dieci di corsa notturna contromano in autostrada dell’alcolizzato Thakur, roba da fare invidia ai “fari spenti nella notte” di Mogol, alle “autostrade deserte al confine del mare” di Venditti, e alla “ruota incollata sulla striscia bianca della mezzeria” di Baglioni.
Sempre con dieci minuti di azione unica il film si concluderà, e spesso allungherà all’estremo anche altre azioni durante il film, senza mai risultare estenuante né lento. È anzi un film adrenalinico e stroboscopico, in costante crescendo, ridondante e didascalico ma sempre eccentrico come le migliori farse.
Perché il film ha un dichiarato intento satirico verso la politica e la religione/superstizione, senza mai cattiveria ma anzi cercando di riconciliarsi con un sentimento popolare che è duro a morire e che pure caratterizza la cultura del regista trentenne Ritwik Pareek.
Pareek ha lavorato nel mondo della pubblicità ma gli è stato stretto, e l’ha presto lasciato per tuffarsi ciecamente nel cinema. È evidente come questo film nasca attorno a uno scheletro visuale ben definito e consapevole (pagherei per vederne lo storyboard!), che invade anche funzionalmente la narrazione: l’accostamento di blu e rosa, introdotto sin dall’inizio del film, a un certo punto diventa l’identità cromatica “ufficiale” del culto di Thakur Sa.
Un film divertente e bizzarro, come l’ha definito il regista stesso, promettendo che la realtà in India e persino più bizzarra di così.

Lascia un commento