Recensione su Non si sevizia un paperino

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18 Novembre 2013

Fulci amava definirsi un “terrorista dei generi”, che assume non come statici contenitori, ma in quanto strumenti espressivi da scardinare per sfruttarne sino in fondo le potenzialità linguistiche. In Non si sevizia un paperino si raggiunge la massima fluidità di ibridazione, volta a generare una sovrapposizione fra i diversi filtri e ritmi narrativi. Ogni elemento – compresa la nota peculiarità dell’ambientazione diurna e provinciale – non va considerato autonomamente, ma dev’essere inquadrato all’interno di una logica tragica, tesa a valorizzare i contrasti insanabili che attraversano in senso dialettico l’intera narrazione: vita/morte, eros/thanatos, ragione/follia-magia, diurno/notturno, esterno/interno, campagna/città, sud/nord, sacro/profano, violenza/gioco, sessualità/repressione, colpevole/vittima, ecc.
La prima inquadratura già propone il contrasto fra realtà provinciale (boschi, campagna) e quella moderna (cavalcavia, autostrada), finché il canto ancestrale, di sottofondo, viene bruscamente interrotto da una musica inquietante: delle mani scavano con disperazione nella terra, quasi a cercare una verità scomoda e sommersa. Il successivo spostamento d’ambientazione, dalla campagna al centro abitato, dagli esterni (abbaglianti) agli interni (oscuri), precipita lo spettatore nelle oppressioni e chiusure mentali della realtà paesana. Ai primi omicidi le angosce della gente si riverseranno contro gli estranei, gli alieni: lo scemo vittima della sua semplicità, la “maciara” colpevole d’incesto, la bella Barbara tanto minacciosa nelle sue curve provocanti quanto nella sua eccentricità cittadina, assumono, di volta in volta, il ruolo di capri espiatori. Non c’è un protagonista, ma una serie di personaggi che di volta in volta emergono per recitare il proprio ruolo e poi tornare sullo sfondo. In questo senso merita un discorso a parte la polizia, le cui accurate ricerche subiscono uno scacco (non è un caso che a svelare il mistero sia il giornalista, ossia un personaggio esterno alla realtà paesana); insieme alle forze dell’ordine Fulci si diverte a disorientare lo spettatore, più volte, prima di un finale che collega le tessere del puzzle ma impedisce ogni redenzione: il giallo si risolve, ma la tragedia rimane. La conclusione non tenta solo la sorpresa, ma la beffa. Una volta che le mani hanno finito di scavare la terra, ciò che rimane è una rappresentazione spietata dell’umano e dell’Italia, perfettamente racchiusa in una semplice osservazione del maresciallo: “Ecco qua… abbiamo costruito le autostrade e non siamo riusciti a vincere l’ignoranza e la superstizione”.

Recensione da “Un fachiro al Cinema”:
https://unfachiroalcinema.wordpress.com/2014/06/20/non-si-sevizia-un-paperino/

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