Recensione su Domenica maledetta domenica

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Come back soon / 8 Ottobre 2011 in Domenica maledetta domenica

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Con quanta forza emerge, dall’accurato quadro (Schlesinger sceglie di rappresentare i corpi ed i volti, gli ambienti e la vita, in modo straordinariamente schietto, come in un quadro realista) di progressivo disfacimento fisico, morale e mentale che è questo film, il personaggio di Peter Finch (un po’ di lavoro lo fa la bellezza del personaggio, il resto lo fa la bravura di Finch); emblema di un amore fedele e sincero, d’un sentimento che non s’accontenta ma che accetta le proprie menomazioni ed i propri limiti con una serena e pacificata rassegnazione, il medico ebreo Daniel Hirsh, roccia e faro insieme (questo, almeno, rappresenta per Bob), è la luce ed il punto fermo dell’intera pellicola (vicinissimo allo spettatore per tutta la durata del film, riesce quasi a superare fisicamente la barriera dello schermo attraverso il criptico ed intimissimo monologo finale).
Molto bello anche il personaggio di Alex (interpretato dall’affascinante Glenda Jackson), che Schlesinger utilizza per indulgere, anche se con moderazione, al classico cliché secondo il quale solo l’amore femminile sa essere veramente possessivo, egoista e geloso.
Fuori dalle spoglie stanze dei tre appartamenti (quello quasi austero di Hirsh, quello disordinato di Alex e quello “creativo” di Bob), Londra e New York (presente più come miraggio e spettro che non come luogo reale), si muovo e si agitano, piene di miseria e di decandenza.
Poco o nulla, in fondo, è cambiato, nella cara vecchia Inghilterra, dai tempi di “Billy Liar”: là i motociclisti, qui i pattinatori folli, le marchette ed i drogati, là un giovane sognatore dalle ambizioni troppo ingombranti, qui un intraprendente designer sessualmente ambiguo.
Ovunque, sempre solitudine e abbandono.

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