Recensione su Disobedience

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Come in un romanzo di Potok / 21 Giugno 2019 in Disobedience

Lo spettatore ideale di questo film – cioè lo spettatore che gli autori avevano in mente mentre lo scrivevano e dirigevano, quello in grado di apprezzarne al meglio i contenuti e la forma – dovrebbe essere probabilmente ignaro del tema principale della trama (e anche della sua locandina), in modo da restare sorpreso quando, quasi alla metà del film, diventa finalmente chiaro il motivo dell’imbarazzo che circonda la protagonista Ronit. E in effetti una sorpresa in più avrebbe giovato al film, che per il resto ha uno svolgimento assai lineare e abbastanza prevedibile – anche se il finale non è quello atteso, a causa di un evento imprevisto che fa deviare la storia su un binario diverso. L’interesse del pubblico rimane quindi sollecitato più dall’ambientazione ebraica che dall’intreccio – sembra quasi di stare in un romanzo di Chaim Potok, anche se qui siamo a Londra e non a New York, e in effetti il protagonista maschile in almeno un’occasione sembra incarnare un ideale assai britannico di self-control di fronte a una situazione domestica decisamente imbarazzante (il personaggio mi è sembrato comunque un po’ underwritten, non analizzato a sufficienza). Detto questo, il film risulta in ogni caso gradevole ed equilibrato. Molto brava Rachel McAdams, seguita a ruota da Rachel Weisz. La breve scena erotica potrebbe risultare per qualcuno leggermente perturbante.

7 commenti

  1. Stefania / 22 Giugno 2019

    Il cinema di Lelio mi piace, ma devo ancora recuperare Disobedience. La tua recensione mi invoglia a prendere di nuovo in considerazione un film di cui, nel frattempo, mi ero dimenticata 🙂 Fra l’altro, ultimamente, capitombolo spesso su contenuti (letterari, televisivi, cinematografici) ambientati all’interno di comunità ebraiche (fra i nuovi arrivi, cito la serie tv Shtisel, disponibile su Netflix). Non ho mai letto niente di Potok e, come si suol dire, mò me lo segno. Hai qualche consiglio, per iniziare a scoprire questo autore?

    • Achero / 22 Giugno 2019

      Di Potok ti consiglierei “Danny l’eletto” (“The Chosen”), il suo romanzo primo e più famoso, da cui è stato tratto il film omonimo di J. Kagan (“Gli eletti” in Italia). C’è anche un seguito, “La scelta di Reuven” (“The Promise”). Però, visti i tuoi interessi artistici, potresti iniziare anche da “Il mio nome è Asher Lev” (“My Name Is Asher Lev”), il cui protagonista è un giovane pittore. Anche questo ha un seguito, “Il dono di Asher Lev” (“The Gift of Asher Lev”).

  2. Stefania / 2 Giugno 2021

    A distanza di circa due anni da questi commenti, non ho ancora letto nessun libro di Potok (ahimé!), ma, casualmente, su Prime Video, ho trovato il film Gli eletti: non mi ha convinto molto, ma la storia raccontata mi è piaciuta (fino a un certo punto e nella recensione spiego perché, il che non fa altro che accrescere la mia curiosità nei confronti di Potok 😉 https://www.nientepopcorn.it/film/gli-eletti/recensioni/convenzionale-film-sullamicizia/)

    • Stefania / 2 Giugno 2021

      Ah! Però, nel frattempo, ho letto il romanzo Disobedience di Naomi Alderman e ho visto il film di Lelio da cui è tratto: il libro mi è piaciuto molto, il film decisamente meno (tra l’altro, all’epoca, dimenticai di votarlo/commentarlo), perché mi è sembrato poco “centrato” sulla comunità ortodossa, che mi è sembrata più un accessorio che un elemento fondante del racconto cinematografico.

      • Achero / 2 Giugno 2021

        Il tuo giudizio mi fa venire il dubbio che forse sono stato troppo generoso con il mio voto a Disobedience: in effetti dal mio stesso commento sembrerebbe più un film da 6 che da 7. Nel frattempo c’è stato l’exploit di Unorthodox, a cui vedo che hai dato 7. Che ne hai pensato? Per me, a parte il trionfo dell’interpretazione di Shira Haas e un finale un po’ deludente, è stata una rappresentazione efficace del lato meno affascinante dell’ebraismo ortodosso.

        • Stefania / 3 Giugno 2021

          Il finale di Unorthodox è il vero punto a sfavore di una serie altrimenti interessante e ben supportata dall’interpretazione della Haas. Anche in questo caso, c’è un libro, dietro (oltre che un’esperienza diretta), e, per quel che mi riguarda, forse, dovrei dargli un’occhiata, per vedere se certi difetti della miniserie Netflix sono imputabili o meno ai soli sceneggiatori. Nel complesso, mi è piaciuta, nonostante le semplificazioni e i “favoleggiamenti”. Ricordo che l’avevo guardata con una certa voracità, perché mi incuriosiva sapere se il finale sarebbe stato totalmente accomodante o meno.

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