Recensione su Di che segno sei?

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Qualità discontinua degli episodi / 19 Ottobre 2020 in Di che segno sei?

Ho ri-ri-ri-rivisto per caso, in tv, questo film a episodi di Sergio Corbucci (soggetto e sceneggiatura firmati da un gruppo assortito di autori, tra cui Rodolfo Sonego) e i primi due episodi si sono ri-ri-ri-riconfermati i migliori del quartetto, per soggetto, personaggi, caratterizzazioni e dialoghi.
In particolare, il secondo, Aria (voto: 7 stelline e mezza), è il mio preferito, per vari motivi:
– la Melato è una bomba di bellezza e autoironia, vedasi, per esempio, quando sfida il barista-ballerino Enea Giacomazzi alias Bolero, bevendo in maniera circense un amaro;
– battute nonsense a parte (proprio quelle che, poi, saranno la cifra principale della sua filmografia anni Ottanta, a me non particolarmente gradita), Celentano, qui, ha davvero un suo perché e anche la sua mimica facciale e fisica si presta molto bene al gioco;
– l’uso della toponomastica e dei nomi delle persone è emblematicamente divertente: vengono sfruttati con puntualità ed efficacia toponimi che, ben contestualizzati, hanno una forte carica comica per via del loro fascino provinciale. Idem per l’uso dei nomi (solitamente, con il cognome anteposto al nome) e dei soprannomi (Claquette, Fred Astaire, Cevingùm…), provenienti da usi e costumi locali e di settore, come quello delle balere e del liscio romagnolo.
Il primo episodio, Acqua (voto: 6 stelline e mezza), con Paolo Villaggio, diverte per la traccia narrativa, per le continue e improbabili versioni en travesti del protagonista e fa sorridere a denti stretti, per il drammatico ribaltamento finale della premessa di partenza.

Al contrario, secondo me, gli altri due episodi sono decisamente meno riusciti.
Terra (voto: 4 stelline) sembra appoggiarsi esclusivamente sulla comicità surreale di Renato Pozzetto, che arriva a giustificare le forzate stramberie dei personaggi di Giovanna Ralli e Luciano Salce, rendendo inconsistente l’originale ma blanda rappresentazione della lotta di classe.
Infine, Fuoco (voto: 4 stelline) mi ha sempre messo addosso una certa tristezza. Qui, Alberto Sordi ripropone per la terza volta (al cinema) il personaggio di Nando, l’indimenticabile americano a Roma. Sono trascorsi più di 20 anni, dalla sua magnata notturna di maccheroni. Nel frattempo, Nando si è trasferito a Milano, è diventato una guardia del corpo vestita di pelle nera che continua a dire uazghené, credendo di parlare inglese, ci riprova con la mostarda ed è protagonista di situazioni improbabili e inutilmente complicate. Nel volume Alberto Sordi (ed. Gremese, 2000), Claudio G. Fava definisce questo Nando una versione “crepuscolare e malinconica” di quello degli anni Cinquanta visto nei film di Lucio Fulci (Un giorno in pretura (1953) e Steno (Un americano a Roma, 1954). Sono d’accordo, ma vedo con occhio meno romantico del grande Fava questa stolida evoluzione del Meniconi (o Moriconi, a seconda dei film) in Gorilla K2.

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