Trance wendersiana / 19 Novembre 2014 in Il cielo sopra Berlino
Per le strade di Berlino vagano gli angeli come fantasmi, laconiche e imperturbabili presenze; stanchi di “vivere spiritualmente”, non nascondono la loro nostalgia delle passioni come delle piccole banali cose della vita quotidiana.
Poesia che scorre in un disarmonico flusso di pensieri, il bianco e nero ricercato e l’ampio uso dei silenzi, la malinconia che avvolge morbida ma tenace nelle sue spire. L’incantatore Wenders spadroneggia nella nicchia preziosa e difficile di questo cinema formalmente statico, eppure così penetrante. Mentre altri cineasti della sua scuola risultano alla fine leziosi e di maniera (chiedo perdono ai suoi fans, ma tra questi annovero Jarmusch), Wim Wenders riesce a imbambolarmi a tal punto da riuscire a convertire uno sbadiglio sonoro in un sospiro di arrendevole ammirazione.
C’è quel tocco leggero, che sa di spontaneo, che rende magica ogni cosa, ogni frase e ogni immagine. Un po’ felliniano forse, un po’ underground ma in fondo così tipicamente wendersiano da inghiottire ogni suo debito di forma.