sei e mezzo / 9 Febbraio 2012 in Departures
Il film è molto toccante e a tratti anche bello, ma tende a molta retorica, in questo caso la stilizzazione tutta giapponese la stempera un po’, non oso pensare cosa ne sarebbe venuto fuori ambientato in italia.
Il tema centrale mi sembra che sia il ritorno a casa, il recupero della memoria e di una dimensione più a misura d’uomo: in fondo il protagonista viene via da Tokio e dai suoi grattacieli, viene via dall’idea di una vita sempre in giro per il mondo (causa della sua assenza al funerale della madre) in cui le dimensioni del vivere sono abnormi (il costo del violoncello) e ritorna in un paesino invaso dagli elementi naturali, in cui la vita procede a ritmi sostenibili e in cui ancora ci sono riti che il tempo non cancella. C’è tutto un moltiplicarsi di figure paterne e materne sostitutive, dalla signora del bagno pubblico, mi sembra che incarni l’anima del giappone antico, al suo capo al lavoro. E poi c’è il lavoro, decisamente fuori dagli schemi, ma che ha bisogno di tatto, delicatezza, precisione, amore in definitiva (d’altronde il capo inizia il suo lavoro di tanatoesteta come ultimo atto d’amore verso la moglie). E come tutti i lavori è un modo per rimettere ordine nel mondo, eliminare la confusione e lo scompiglio e ridare quiete, ordine appunto, leggibilità.
Non mi è dispiaciuta la commistione fra comico e drammatico, ma nel finale questa linea narrativa si perde totalmente. Ci sono due climax emotivi a mio parere, la morte della donna del bagno pubblico e la morte del padre di lui, troppi, uno dietro l’altro quasi, eccessivo

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