Decalogo 1

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Decalogo 1

Primo episodio della serie di dieci mediometraggi (prodotti da Kieślowski per la televisione polacca) ispirati ai Dieci Comandamenti della cristianità: Krzysztof è un professore universitario rigorosamente laico che affronta la vita nella convinzione di riuscire a spiegare ogni evento da un punto di vista puramente scientifico, ma vede crollare tutte le sue convinzioni quando suo figlio, il piccolo Pawel, un pomeriggio non fa ritorno a casa.
laschizzacervelli ha scritto questa trama

Titolo Originale: Dekalog, jeden
Attori principali: Henryk Baranowski, Wojciech Klata, Maja Komorowska, Artur Barciś, Agnieszka Brustman, Maciej Borniński, Maria Gładkowska, Ewa Kania, Aleksandra Kisielewska, Aleksandra Majsiuk, Magdalena Mikołajczak, Anna Smal-Romanska, Maciej Sławiński, Piotr Wyrzykowski, Bożena Wróbel, Mostra tutti

Regia: Krzysztof Kieślowski
Sceneggiatura/Autore: Krzysztof Kieślowski, Krzysztof Piesiewicz
Colonna sonora: Zbigniew Preisner
Fotografia: Wiesław Zdort
Costumi: Hanna Ćwikło, Małgorzata Obłoza
Produzione: Polonia, Germania
Genere: Drammatico
Durata: 53 minuti

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Dekalog-Parte 1 / 29 Aprile 2020 in Decalogo 1

« Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai » (Es 20,2-5)

Uno dei più grandi capolavori della storia del cinema.
Pavel è un ragazzino molto intelligente: i suoi occhi sono vispi e pieni di luce. Eppure una cosa lo tormenta: “Perchè le persone muoiono?”. Il padre,Krzystof, professore universitario ateo e materialista, gli risponde secondo la sua prospettiva:”Dipende. Problemi di cuore, cancro o semplicemente per l’età”. Ma questo a Pavel non basta. Così si affida alla zia: una donna semplice, dai forti valori, per la quale Dio è un abbraccio. Niente di più. Si afferma una sorta di dualismo tra il padre, che si getta fra le carte e si affida al computer per ogni risposta, e la zia, per la quale tutto si può risolvere con un “Ti voglio bene”.
Secondo Krzystof, le persone credono ad un’anima per sentirsi meglio con loro stesse. Secondo la zia, l’educazione rigidamente cattolica della loro famiglia lo avrebbe portato ad un cieco materialismo.
Ecco il fattaccio: il padre regala al figlio un paio di pattini. Vuole fargli dimenticare l’assenza della madre: per verificare se il ghiaccio del laghetto regga, si affida a degli elaborati calcoli al computer. Ma non si accorge che accanto al laghetto c’è un fuoco: Pavel andrà sul ghiaccio ed il ghiaccio del laghetto cederà. Il bambino, ciò che è innocente, ciò che è puro, morirà. L’agnello deve essere sacrificato. Il padre inizialmente non vuole crederci, si disinteressa della questione: ma andando alla ricerca del bambino, dovrà rendersi conto della sua scomparsa. Sul computer una scritta beffarda al ritorno da casa: “E’ pronto”. Il professore universitario entrerà in una chiesa e rovescerà le candele accese dall’altare. Vediamo solo l’icona della Madonna su cui cola la cera: sembra piangere di compassione.
In questo primo episodio del Dekalog il regista polacco vuole mostrarci tutta la sua poetica: il mistero della vita non può essere risolto se non abbandonandosi completamente a qualcosa di talmente superiore ai nostri occhi che non può essere visto, ma può essere solamente colto lasciandosi andare in un abbraccio. Ora comincia una piccola postilla personale, forse stucchevole, ma che vuole essere una testimonianza di ciò che significa per me questo primo capitolo del Dekalog.
Non bastiamo a noi stessi. Per quanto ci ripetiamo di non avere bisogno di un Dio e lo bestemmiamo, abbiamo bisogno di un Mistero che ci renda tanti piccoli da potere essere amati. Non sono cattolico, non sono religioso: credo tuttavia in un Dio. Perché se non esiste mistero, non può esistere la conoscenza. Solo andando oltre a ciò che è tangibile, oltre alle forme di ciò che è corruttibile, possiamo davvero cogliere un frammento dell’infinità. Vogliamo costantemente illuderci di essere arbitri della nostra vita: non lo siamo. Siamo tutti figli di un qualcosa di totalmente incomprensibile, cui possiamo giungere solamente chiudendo gli occhi e serrando le orecchie. Il ruolo della ragione nella vita è sopravvalutato: la ragione non conduce alla felicità gli uomini, li rende unicamente schiavi, persi in un guscio vuoto di inutili perplessità. Solo rendendoci conto di quanto siamo nudi, possiamo ritenerci vestiti. Forse lo posso dire con totale serenità soltanto oggi, dopo un lungo ed intenso percorso molto simile a quello di Kryzstof.
Questo piccolo e breve film è un monolite nella storia del cinema. Me ne sono reso conto anche quando 5 anni fa andai in Polonia una settimana e, parlando con alcune persone del posto, mi resi conto di quanto Kieslowski abbia un’influenza decisiva nel pensiero del popolo polacco, oppresso dal nazismo e dal comunismo un tempo, oggi oppresso da quella che sta diventando una vera e propria dittatura.
“Eli chiamò Samuele e gli disse: «Samuele, figlio mio». Rispose: «Eccomi». 17 Proseguì: «Che discorso ti ha fatto? Non tenermi nascosto nulla. Così Dio agisca con te e anche peggio, se mi nasconderai una sola parola di quanto ti ha detto». 18 Allora Samuele gli svelò tutto e non tenne nascosto nulla. Eli disse: «Egli è il Signore! Faccia ciò che a lui pare bene»
PS: consiglio di ascoltare la colonna sonora di Preisner, è forse la migliore colonna sonora originale che abbia mai ascoltato

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29 Agosto 2013 in Decalogo 1

Una perfetta tragedia contemporanea, pregevole dal punto di vista estetico (riprese, atmosfera, colori, musiche) ed efficace nel coinvolgerci nel rapporto padre-figlio quando nel farci affezionare al bambino: il suo nome è Pavel, subito impariamo ad amare i suoi occhi, la sua voce, la sensibilità della sua intelligenza; ci inorridisce a un certo punto vederlo scomparire (letteralmente) e rivelare la sua vera identità: quella d’essere, nei meccanismi della vita e in quelli della tragedia, nient’altro che un archetipo: quello del Figlio – che serve ad attivare il meccanismo di colpa del Padre e il dissidio che innesca. Il motore propulsivo della tragedia è la scena – forse la più bella del film – della boccetta di inchiostro (nero, come la morte e la colpa) che si rovescia inspiegabilmente sulle carte e i libri bianchi (che restano inerti, non sanno spiegare), quindi sulle mani di Krzysztof, diventano simbolo della sua imminente sconfitta in quanto professore e in quanto padre: da una parte la scena evoca una rottura nella trama degli eventi consequenziali (di cui la ragione si vanta di conoscere la chiave), dall’altra la colpa della quale cercare invano di lavarsi le mani; il nero ha ormai invaso l’innocenza del bianco e la tragedia è compiuta.
Attenzione: si tratta di tragedia perché attraverso la morte Pavel la sconfitta dell’essere umano è totale; l’uomo è sconfitto in quanto Padre e in quanto Figlio, non può salvarlo la fede né la ragione che sono due forme diverse di hybris. Certo la ragione è la vittima più esplicita: è l’idolo che vuole donare sicurezza (il determinismo atmosferico), felicità (la vittoria a scacchi), ma anche delusione (l’esperienza di un limite: il pc deduce che la mamma sta dormendo ma non sa cosa sta sognando) e paura (il pc che si accende da solo, sussurrando in modo minaccioso o beffardo “I am ready”). Ma se il film testimoniasse semplicemente la sconfitta della ragione, non si tratterebbe di una tragedia, perché nella fede ci sarebbe salvezza e senso; questo sarebbe stato il messaggio del film se la vittima fosse stata il padre. Ma a morire è Pavel, ossia il figlio che, per antonomasia, rappresenta l’innocenza. Con lui sono l’essere umano e la vita stessa a essere sconfitti: a morire è l’unico personaggio che aveva saputo aprirsi alla dimensione della fede quanto della ragione; era l’unico personaggio vivo, espresso narrativamente dall’essere sempre in movimento: domanda, osserva con curiosità, corre, pattina. Ha davanti a sé il mistero della vita e tutto lo entusiasma e interessa (l’esperienza del limite attraverso l’incontro con un cane morto). Si tratta di tragedia perché la vittima è l’innocenza e a restare vivi sono il padre e la zia, ossia le due figure immobili e quindi già morte (il padre resta fermo in piedi, incredulo del tradimento della ragione; la zia si inginocchia rimanendo ferma nell’apparenza della fede). Il grigio del lago ghiacciato (doveva essere speranza di un gioco, diventano una trappola: questa è la vita) e il grigio del cielo si rispecchiano a vicenda e schiacciano l’uomo in una morsa inesorabile.

Dal Blog di Un Fachiro al Cinema: https://unfachiroalcinema.wordpress.com/2014/08/15/decalogo-1/

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5 Aprile 2013 in Decalogo 1

L’ANGOSCIA

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