Recensione su Nella casa

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13 Maggio 2013

A me è piaciuto molto. Per i temi di base che sono tanti: nell’anonimato dei personaggi che sono tutti uguali (i ragazzi sono deidentitarizzati dalla divisa, c’è il padre, la donna più annoiata che esista e così via) l’abilità del narratore costruisce un mondo; ma ciò che si crea quale influenza ha su chi legge che partecipa comunque all’atto creativo (il professore e la moglie suggeriscono, indirizzano, ne sono, soprattutto lui, travolti); il mondo è uno schema di rapporti di forza, sociali (ricco/povero), individuali (mentore/allievo); i nuclei famigliari sono il concentrato dell’essere e della società; la narrazione può essere così potente da essere reale e nello stesso tempo la realtà, presunta tale, può essere immaginaria.
E poi Ozon ha quel modo di girare che adoro: i ragazzi camminano, si alza la telecamera che scopre la casa, una vertigine quasi.
Il parallelismo delle due case borghesi, poi, sin da subito suggeriscono che l’atto di Claude di penetrare dentro l’una avrebbe portato ad entrare nella seconda, i piani medi sui due coniugi sono il riflesso di quelle dedicati ai Rapha, cambia in maniera radicale il contenuto, non la forma (e il gioco contenuto/forma è fondamentale nel film, il professore ignora il contenuto rapito dalla forma letteraria dei temi di Claude; Claude impara a gestire la forma della narrazione che si appropria del contenuto e lo domina) ossia l’interno borghese colto versus l’interno borghese stolido. D’altronde il discorso sull’arte è molto presente attraverso il mestiere della moglie del professore: l’arte deve monetanizzarsi, l’arte è la tela vuota che si deve immaginare (quanto dell’arte è fatto dal fruitore? Chi scrive scrive per, chi legge influenza l’atto creativo, come accade proprio nel film, come accadeva nei romanzi che oggi leggiamo come corpi unici, ma che furono scritti “a puntate” come i temi di Claude e il prof. gli da’ da leggere Dickens non a caso). Ma poi il professore è anch’egli uno scrittore mancato e cosa racconta il suo libro se non una trama che si riconnette al suo alunno prediletto? E il liceo non è intitolato a Flaubert con la sua poetica da identificazione totale fra autore e personaggio con la compenetrazione fra i due piani? Sadico il film in cui mai si è certi di chi sta inventando cosa.
Claude mi ricorda molto i ragazzi di Truffaut e l’angelo caduto di Teorema, nel primo caso perché lo stesso Antoine si avvicinava alle famiglie delle sue fiamme per poi rimanerne rapito (si innamorava delle famiglie di queste), il ragazzino de Gli anni in tasca è sempre a casa dell’amico mentre “sfugge” dalla sua routine con il padre paralizzato; nel secondo caso perché davvero è quell’elemento estraneo (che è al contempo pansessuale) che si materializza di fronte ai componenti di una famiglia esacerbandone i caratteri, ma senza quella funzionalità pasoliniana di evoluzione/liberazione, perché la famiglia Rapha è decisamente basica e senza molte sfumature, è moderna in senso ampio.
Bello il film perché labirintico e pieno di sotto temi con quel bel finale che rimescola ancora le carte fra cosa si sta narrando (tutto quello che abbiamo ascoltato è stato detto per il professore e basta?) e la forza del voyeriemo alla hitchkock, le finestre che moltiplicano i palcoscenici ognuna con all’interno una casa intera e una storia intera.

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