Recensione su Dallas Buyers Club

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4 Febbraio 2014

Prima di tutto un bravo a Matthew McConaghuey, mai così in forma (da un punto di vista attoriale perchè fisicamente risulta dimagrito di più di 30 Kg) come in questo film. Finalmente, l’attore divenuto celebre per aver sempre trovato l’occasione di esibire il suo fisico statuario in ogni film che ha realizzato, ha saputo far vedere che sotto la fibra muscolare c’è una buona fibra da attore. Lo aveva già fatto capire in Killer Joe e Mud (anche se da noi non si è ancora visto, ma diamo fiducia alla critica stavolta) ma qui, ispirato dal precedente di un Christian Bale che come lui condivide una fisicità massiccia, si trasforma fuori e dentro e dà vita ad un’interpretazione toccante (Oscar sicuramente meritato, pace a Di Caprio) di un uomo rimasto solo a combattere il male dentro di lui. Un uomo che ha voglia di vivere, che non vuole arrendersi e che ha una grinta indomabile. Una grinta che lo porta a studiare la malattia che lo ha colpito (nonostante si capisca che il suo precedente spessore culturale era piuttosto piatto), a confrontarsi con i suoi pregiudizi (è un omofobo e pure razzista) e a rivedersi anche nel rapporto con le donne.
Il bello del film sta proprio nella caparbia evoluzione di questo personaggio che si è scontrato con il sistema ma prima di tutto ha fatto a botte con se stesso, finendo per diventare una persona migliore, un esempio di determinazione.
Chi voglia vedere un parallelo con il metodo Stamina canna di brutto, perchè Dallas Buyers Club è ben scritto ed è oggettivo in ciò che racconta, e cioè che le cure alternative che Ron sceglie di assumere sono medicinali non approvati dall’FDA ma legalizzati da altre istituzioni in altri paesi e si tratta di cure che migliorano la sintomatologia ma che non guariscono dalla malattia.
L’AZT ha avuto un percorso clinico difficile ma quello che il film sottolinea (anche alla fine) è che la dose clinica era sbagliata ma non il principio attivo.
Prendere questo film a modello per scagliarsi contro la ricerca è un errore che si rischia di fare alla luce della cronaca (italiana), perchè si corre il rischio di non cogliere il significato più intenso che ci offre.

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