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Daisy Diamond

/ 20077.834 voti

2 Novembre 2013 in Daisy Diamond

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

“Tu vuoi essere, non sembrare di essere”, diceva Margaretha Krook in “Persona” di Ingmar Bergman. E non è tutto, perché “Daisy Diamond” di Simon Staho è una costante, fluida citazione del suddetto cult del cinema svedese. “Credo che l’arte di recitare abbia enorme importanza nella vita, specialmente per chi non sa superare da solo le proprie difficoltà”: ed è questo che fa Anna, sale sul palco e mette in scena la sua vita (o è la vita ad essere tutta una recita?). Sale su quel palco, declama il suo copione alla perfezione, con un’intensità d’espressione come forse poche sanno avere. Ma Daisy piange e piange; ininterrottamente piange. Piange per Anna che non sa essere madre; che nella negazione dell’infanzia, di quella figlia venuta al mondo dalla violenza, le parla in continuazione. Cerca una risposta alla sua frustrazione, a una maternità non desiderata, al suo esasperato senso di inettitudine tra l’amore e l’accettazione di sé (ulteriore rimando all’analisi della sfera femminile di “Persona”).

Per leggere il resto, click qui!= http://filmedvd.dvd.it/drammatico/daisy-diamond/

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DIO E’ MORTO. MA IL CINEMA E’ VIVO. / 12 Ottobre 2013 in Daisy Diamond

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Piange Daisy. Piange in continuazione quella piccola creatura. E piange. E grida. Incessantemente. Non ti da pace. Piange di notte. Di giorno. Durante le tue audizioni. In ogni istante della tua vita. Ma è la tua bambina, innocente figlia indesiderata di uno stupro. La ami come ogni madre, ma la odi perché non la volevi, perché ti toglie il respiro, perché non ti lascia vivere.
Forse è nata per rovinarti la vita. O forse è lei ad odiarti. Forse è proprio per quello che piange. Perché odia la persona che l’ha messa al mondo. Perché non vuole essere tua figlia.
Per colpa sua vedi sfumare molte occasioni di lavoro. Ma provi a resistere. La guardi negli occhi. Niente. Non smette di piangere. E tu stai impazzendo, non ce la fai più. La soluzione è una soltanto: liberarsi di lei. Prendere il suo corpicino ed infilarlo nella vasca da bagno, fino a che i suoi polmoni non si siano riempiti di acqua, fino a che non sia diventata completamente blu in volto.
Adesso è immobile, non piange più.
Ma sei te, adesso, a piangere e gridare. Non te ne sei liberata. Daisy è ancora lì con te. Nel letto mentre non riesci a dormire. Ed è cresciuta e ti chiede: perché? Ti ricorda che madre crudele che sei stata.
Le parti continuano a non arrivare. Forse non era lei il problema. Forse sei tu che non hai talento. Come ultima beffa scopri che la vicina di casa gestisce un asilo nido. Ti avrebbe permesso di lasciarle Daisy. Senza pagare. Se solo non tu l’avessi uccisa.
Ma è tardi ormai. Sei un’assassina. Un’attrice mediocre. Una fallita. Una puttana. Ma sei anche un essere umano e puoi continuare a fare ciò che hai sempre fatto: recitare. Ed allora interpreti la parte della tua vita. Ti spogli, di fronte alle telecamere. Ti immergi nella vasca. Riempi i tuoi polmoni di acqua, con gli occhi aperti, verso l’alto, fino a quando non restano sbarrati.

Dio è morto. Dio è morto per Simon Staho. Dio è morto in ogni scena di questo film. Ma il cinema è vivo, con tutta la sua potenza e bellezza. “Daisy Diamond”, lungometraggio del 2007 firmato dal regista danese Simon Staho è un film che mette a dura prova lo spettatore, lo obbliga ad astenersi da ogni giudizio morale. E lo fa soffrire. Tantissimo. Troppo?

Un film “Bergmaniano” nell’impostazione e nei contenuti, è la storia di una giovane madre, desiderosa di fare l’attrice, ma incapace di prendersi cura della piccola figlia , frutto della violenza subita dall’ex fidanzato che ha pensato bene di sparire. E non c’è latte nei seni. E non ci sono soldi per campare. E’ quindi la storia di una persona fragile che in preda alla disperazione arriva a compiere il più crudele dei crimini. Non solo omicidio. Non solo infanticidio. Ma anche figlicidio.

E così la vediamo precipitare nella follia, nel rimorso, nella profonda disperazione, mentre risuonano i monologhi e i dialoghi di “Persona” di Bergman. L’utilizzo continuo di lunghissimi primi piani ci costringe a scrutare dentro i suoi occhi. Cosa vediamo? Un essere spregevole destinato all’inferno oppure un essere umano?
Nella seconda ipotesi, possibile soltanto se accettiamo di essere a-morali, possiamo entrare in empatia con il personaggio di Anna. E la seguiamo nella sua punizione, orribile quasi quanto la colpa. La vediamo sottoposta (sottoporsi) a terribili torture sia psicologiche che fisiche. Il suo corpo nudo, privo di ogni difesa, diventa oggetto di violenza ed umiliazione. Lei continua a guardarci con lo sguardo rivolto in camera. Ci sussurra. Poi grida. Poi nuovamente sussurra, in un continuo esame di coscienza.
Ed il tutto mentre cinema (finzione) e vita (realtà) si mescolano indissolubilmente.

Credetemi, avrei preferito stroncare questo film. Avrei preferito che non mi fosse piaciuto, mi sarei sentito meno colpevole. Avrei preferito condannarlo, essere qui a scrivere: <>
Ma la realtà è che questo “Daisy Diamond” è tutto tranne che un film mediocre. Non ce la faccio perché una pellicola grandiosa, magnifica, nella forma, nei contenuti, nelle musiche, nel modo in cui è scritta e recitata. Quasi perfetta nel raffigurare l’essere umano e la sua innata debolezza.
Come un film di Bergman. Ecco, l’ho detto.

Voto “a caldo”: 10.

Strepitosa Noomi Rapace.

http://frammenticinemavittoriomorelli.blogspot.it/2013/10/daisy-diamond-2007-di-simon-staho.html

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La bambina che non c’era / 18 Settembre 2013 in Daisy Diamond

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Un pianto lamentoso, irritante, ad elevata, insopportabile tonalità. Incessante. Di giorno, di notte, col sole o con la pioggia, non si ferma mai. Un pianto che spezza i timpani, che urta i nervi. Vorresti solo cessasse. Una volta per tutte. Per sempre.

“Volevi essere una madre. Hai avuto paura quando non potevi più tornare indietro, terrorizzata dalla responsabilità. Terrorizzata di perdere il teatro, impaurita dal corpo che si gonfiava. Ma hai continuato ad interpretare la tua parte, quella di una giovane madre in attesa. Hai tentato varie volte di abortire, ma quando hai capito che non potevi più far niente, hai odiato il bambino, hai desiderato che morisse. Quando infine è nato, lo hai guardato con repulsione e hai detto fra i denti: “Muori, ti prego. Muori, subito. Adesso. Ora. Muori, ti supplico!”.

I personaggi di cui Anna deve recitare la parte si confondono sempre con la sua vita vissuta; in questo contesto è difficile, se non impossibile, districare questa matassa dove il vero, l’immaginato, il vissuto, il recitato si aggrovigliano inestricabilmente. A confondere ancor più le acque anche il film che Anna guarda incessantemente, “Persona” di Bergman, un film dove la confusione e sovrapposizione di ruoli tra paziente ed infermiera è totale e dove il racconto di un infanticidio in seguito ad una maternità indesiderata ha un ruolo cruciale.
Anche la lenta, inesorabile discesa agli inferi della giovane attrice, che passa da provini per cinema impegnato al porno ed infine alla prostituzione, non è mai chiaro se sia una vera via crucis o soltanto una finzione, una recita. Dolorosa, realistica, ma sempre una recita. Ad uso e consumo del pubblico pagante o soltanto per placare i propri sensi di colpa? Sensi di colpa vissuti in prima persona o soltanto da un personaggio interiorizzato in maniera perfetta? E, alla fine, quando finalmente riuscirà a vendere i diritti della propria storia, quale personaggio Daisy/Anna/Elisabeth interpreterà?
qui la “colonna sonora”.

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