Un altro buon film di Francesco Rosi / 21 Luglio 2016 in Cristo si è fermato a Eboli

Un soggetto sicuramente non semplice come quello del romanzo omonimo di Carlo Levi viene portato sul grande schermo (e anche sul piccolo in versione estesa) da un ormai maturo Francesco Rosi, regista decisamente importante nella storia del cinema italiano (e di quello politico in particolare), purtroppo ingiustamente relegato in secondo piano, forse a causa delle sue idee, sempre sbandierate in maniera piuttosto esplicita.
Nella storia di Carlo Levi, intellettuale antifascista condannato al confino, vi è ovviamente la critica ai regimi, ma soprattutto la denuncia sociale delle miserie degli ultimi, di coloro che vivono lontano dai riflettori in condizioni economiche e culturali spesso molto arretrate (come recita il titolo, Cristo sembra essersi fermato oltre cento chilometri a nord ovest, nella cittadina campana di Eboli, dove Levi è arrivato in treno per poi proseguire in auto tra gli Appennini della Basilicata). Eppure la dignità di queste persone non cessa di fare capolino in un racconto delicato, dai ritmi lenti ma assolutamente piacevoli.
La regia di Rosi è davvero salda, al resto ci pensa un attore straordinario come Gian Maria Volonté, che ha l’unico difetto di apparire un po’ troppo vecchio per la parte del trentatreenne (all’epoca dei fatti raccontati) Carlo Levi.
Un film davvero piacevole, grazie anche ai meravigliosi paesaggi lucani (Aliano, Guardia Perticara, Craco, Matera) splendidamente fotografati dal grande Pasqualino De Santis, che collabora per l’ennesima volta con Rosi in un connubio pressoché indissolubile (lavoreranno insieme ad una dozzina di lungometraggi in tutto).
Una selva di sconosciuti (o quasi) personaggi secondari infarcisce di contenuti una pellicola in cui regionalismo e ricchezza dialettale la fanno da padrone, con risultati eccellenti.
Gli unici aspetti non del tutto convincenti sono soltanto l’incipit, che fa sì che tutto il film si risolva in un enorme flashback (quando poteva farsene benissimo a meno), e le musiche un po’ pallide e anonime di Piero Piccioni.

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