Fede e scienza / 26 Settembre 2023 in Contact
Rivisto a distanza di molti anni, Contact riesce ancora a regalare emozioni, grazie a una trama appassionante e alla grande interpretazione di Jodie Foster, forse un po’ della vecchia scuola ma certamente anche molto molto brava. Colpisce però la qualità molto bassa degli altri interpreti, in parte per colpa loro, in parte per cattiva scrittura: Matthew McConaughey fa il bel bambolotto, William Fichtner non riesce a dare la minima verosimiglianza al suo Kent Clarke, John Hurt è una maschera grottesca, James Woods un cattivo monodimensionale, David Morse scambia il lutto per l’abulia. Si salva in parte solo Tom Skerritt, il cui David Drumlin ha qualche accenno di complessità. Si vede anche una giovanissima Jena Malone nei panni di Ellie bambina.
Il film è chiaramente ispirato a 2001: Odissea nello spazio: qui come lì abbiamo un misterioso manufatto di origine aliena che trasporta un(‘)astronauta per luminosi cunicoli spazio-temporali fino a una destinazione sorprendente eppure familiare. Ma mentre nel film di Kubrick gli alieni erano incomprensibili e trascendenti, qui appaiono incondizionatamente pieni di buone intenzioni. È anche per questo che 2001 è un capolavoro mentre Contact è solo un bel film.
Il tema del film è, com’è evidente, il contrasto tra scienza e religione. Ma la contrapposizione è in realtà fra tre poli: il bigottismo angusto e omicida del fanatico terrorista, la spiritualità umanistica e un po’ vaga del pastore Joss, e la mentalità scientifica di Ellie Arroway. Nel finale sembra che sia il secondo a prevalere: Ellie è costretta ad ammettere che sì, può verificarsi un’esperienza inspiegabile e indimostrabile che ci cambia profondamente, il contatto con qualcosa che è più grande di noi e ci ispira timore reverenziale, umiltà e speranza; qualcosa che va al di là della scienza e che possiamo comunicare agli altri solo per fede. Tuttavia, per cominciare, l’oggetto di questa fede non è Dio, ma una sua versione naturalistica, i cui prodigi sono miracoli tecnologici: gli extraterrestri appunto. Inoltre, l’esperienza di Ellie si rivela non essere poi così indimostrabile: la prova c’è, semplice ed evidente. Perché allora ignorarla durante l’udienza? Lo spettatore ha la ineliminabile sensazione che qualcuno stia barando per far tornare i conti a tutti i costi, per costringere la protagonista ad ammettere che la scienza non è tutto. Ma allora perché non buttare via la carta in più che rivela il trucco? Perché ci deve essere una prova? La mia ipotesi è che gli autori abbiano voluto evitare che al pubblico rimanesse il dubbio che quella di Ellie fosse stata solo un’allucinazione; evitare che, in un certo senso, il pubblico fosse costretto a credere a Ellie solo per fede. E questa è, sì, una grossa, irrisolta e irrisolubile contraddizione con la tesi del film.