23 Aprile 2014
Welles confeziona una storia, seppur frammentaria, di un uomo ( Kane ) votato alla grandezza e al potere, riflesso condizionato di un’infanzia depauperata del libero arbitrio, nonché di un’innocenza pagata troppo presto. Benché affamato di ideali e principi nobili, Kane inconsapevolmente cela dietro l’abito di questi intenti, egoismo e vanità; ma all’occhio indagatore di chi lo scruta non vi è certezza, e quindi non si può né definirlo, né incatenarlo in una sorta di personaggio triste, che malgrado le sue immense ricchezze non riesce a possedere nulla, se non la folle convinzione di amare e di essere amato soltanto alle sue condizioni. Non vi è certezza dunque, se non nello stesso alone di mistero che circonda la sua arcana figura, ed è proprio questa ad arricchirlo e a renderlo forse il personaggio più interessante creato ad arte in una pellicola, sebbene Welles si sia ispirato alla vita dell’editore, imprenditore e politico statunitense William Randolph Hearst.
Kane in un certo senso è letteratura d’altri tempi, quella romantica ed egoista, che cerca nella sua infinita eleganza un piacere che non esiste, ma che anela a conquistare. Orson Welles, a soli venticinque anni carpisce l’effimera direzione di quel vento, di quella brezza che spira in gioventù, e poi si affievolisce cercando di ripercorrere quel sentiero che l’ha portata così lontano. E la dirige, la veicola, ma in modo casuale, così da non avere chiara in noi la direzione. E quello che rimane è un piccolo silenzio, una flebile voce di un ragazzino che forse alla sua smisurata eredità avrebbe preferito ancora un giro sulla sua vecchia slittina, sulla sua adorata Rosabella.

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