Recensione su Che strano chiamarsi Federico

/ 20137.129 voti

3 Ottobre 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Docu-film erratico e vagabondo, per le vie di Roma e dei ricordi di Scola. Un po’ raccontato un po’ no, da un narratore che passa, e sullo sfondo le note di un onnipresente zumpapazum, tanto da ricreare quell’atmosfera lì. Fellini guarda il mare al tramonto, Fellini arriva alla redazione del Marco’Aurelio, simpatica rivista buffona che limitandosi riusciva a campare sotto il fascismo: lì trova tutta quella che sarà la commedia italiana del dopoguerra, Age e Scarpelli, Steno, Altricheoranonricordo, sono tutti lì; e poi c’è lo schiavo di Boris (!!!) nella parte di Attalo, anche. Trovare lavoro non era difficile, perché poi si vede anche il giovane occhiali da secchione Scola arrivare alla stessa redazione, preso! Qui nasce la sua amicizia con Fellini, che stava cominciando a girare film, dallo Sceicco bianco in poi, e rassegna sulle solite cose attese, Fellini e Mastroianni, Fellini e Pinocchio, l’eterno bugiardo, i suoi disegni, ecc. L’operazione è precisa e colorata e nostalgica, come può esserlo lo sguardo di Scola che riguarda indietro ai fasti di quegli anni, quando si beveva punt&mes, loro erano giovani e insonni e andavano in macchina a raccogliere e parlare con le putas sul GRA, e prendevano la vita, e il cinema, e lo ribaltavano come un calzino. Ventaglio di immagini di repertorio, altre dai film più famosi, languore triste con fuga dalla morte finale.
Eppure, questo impacciato ragazzo, come avrà potuto diventare qualcuno?

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