17 Febbraio 2011
È il 1956 quando Ernesto Guevara, medico argentino, si imbarca alla volta di Cuba con il giovane avvocato Fidel Castro e altri guerriglieri determinati a liberarla con una rivoluzione dalla dittatura di Fulgencio Batista. Sbarcato sull’isola, il Che combatte con la sua colonna nella foresta tropicale della Sierra Maestra fino a raggiungere Santa Clara, conquistata con una coraggiosa battaglia prima di raggiungere L’Avana.
Tre sono i piani temporali che vengono magistralmente alternati: l’incontro con Castro a Città del Messico caratterizzato da una fotografia color seppia; la rivoluzione, filmata con nitidezza per esaltare sia le scene d’azione, sia i magnifici paesaggi; le immagini del 1964 a New York in occasione del suo discorso alle Nazioni Unite, in bianco e nero, quasi si trattasse di un filmato dell’epoca.
Nel primo atto del suo lungo film (la seconda parte non si farà attendere molto, per fortuna), Steven Sodebergh si affida ai diari autobiografici del Che per raccontare con taglio documentaristico le imprese cubane del comandante Guevara – un perfetto Benicio Del Toro, vincitore al Festival di Cannes per questa interpretazione – senza lascarsi tentare dai toni gloriosi che ne hanno fatto un’icona: da un lato è leader carismatico immensamente fedele ai suoi ideali rivoluzionari, dall’altro è umano, tormentato dall’asma; un personaggio influente, pieno di punti oscuri e debolezze. Chi sia stato davvero Guevara è una questione che il cinema sicuramente non risolve; tuttavia, quello del film di Soderbergh è un tentativo, decisamente riuscito, di renderci partecipi della sua avventura personale e storica.

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