14 Aprile 2011 in Centochiodi

Atto d’accusa alla Chiesa di oggi, anzi al papato di oggi, chiaro, secondo me, incontrovertibile. Olmi si affida alla figura di un professore universitario, giovane, bello, ricco, senza nome, ma che tutti chiamano il nazareno, per identificarvi un percorso di riappropriazione della vera chiesa, intesa come comunità, mischiandovi echi cristologici, le parabole narrate, l’appellativo, con richiami più propriamente francescani, la spoliazione iniziale, l’eremitaggio. L’atto di accusa è frontale e forte, rinvigorito dal confronto finale fra l’eminenza e il professore, in cui è chiaro che i libri violati sono tutti libri religiosi o testi filosofici cattolici. Qual’è il peccato ascritto? Il moralismo e la contemporanea assenza di morale, l’intellettualismo, come autosufficienza dell’anima, che è un peccato di orgoglio. E lo scollamento fra dogma/Istituzione e vita reale è affrontato in tutti i suoi aspetti, dal sesso alla diversità di genere, dalla povertà al bisogno di tornare verso la gente, fra la gente.
Olmi ricostruisce una comunità umana simbolica, fatta di semplici, di persone genuine, gente del fiume, ed è il fiume la presenza più spirituale, secondo me, luogo del fantastico con i battelli che stupisco fellinianemente gli individui, luogo aggredito dalle istituzioni, personificazione della civiltà moderna. In ciò c’è quasi una sfumatura anarchica, decisamente troppo forte, in cui confluisce una memoria nostalgica di luoghi incontaminati.
Personalmente ritengo che il messaggio e il contenuto del film si ripercuotano negativammente sulla messa in scena., che il tutto avesse un bisogno maggiore di ordine, che l’enfasi gli prenda la mano.
La scena dei libri inchiodati in biblioteca è figurativamente bellissima.

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