Recensione su Carnage

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L’esercizio del conflitto / 18 Maggio 2013 in Carnage

Puro conflitto. Potremmo definire così Carnage, il film di Polanski tratto dall’opera teatrale di Yasmina Reza. Girato praticamente in un unico interno, è un film interessante più dal punto di vista tecnico-artistico che non strettamente tematico.

La storia è quella di due coppie di genitori che, nel tentativo di ricomporre civilmente il litigio dei rispettivi pargoli, si lasciano a poco a poco dominare dal dio del massacro, tra insulti e insinuazioni, alleanze e rotture, rigurgiti di rabbia e non solo.

L’intento è chiaro. Una denuncia grottesca, uno sberleffo nei confronti di quella politically correctness che ci costringe a rapporti tirati, freddi e standardizzati.

Ma in Carnage questi vincoli cedono, e allora i quattro protagonisti si rivelano per quello che sono e per quello che davvero pensano. Un conflitto tra due coppie si tramuta in una scaramuccia tra sessi, per lasciare spazio ai dissidi di coppia e tornare così agli schieramenti iniziali, in un crescendo di grida, accuse e pianti isterici.

Per quanto bizzarra possa sembrare la vicenda, il conflitto – gestito in maniera eccellente – si avverte sottotraccia anche nei primi, formali convenevoli. Ma la sceneggiatura, pur nella sua robustezza tematica, da sola non reggerebbe. È a questo punto che diventa importante il fattore artistico. Sono infatti i quattro attori a sostenere con interpretazioni perfette buona parte dell’impianto, imprimendo coerenza e credibilità allo sviluppo complessivo. Il solito Christoph Waltz spicca su tutti gli altri (Jodie Foster, Kate Winslet e John C. Reilly).

Infine, Roman Polanski. Con L’uomo nell’ombra aveva offerto una prova un po’ sbiadita, qui invece si dedica con successo a un virtuoso esercizio di stile. Sicuro come pochi, si districa tra i rischiosi incroci verbali e di sguardi dei quattro protagonisti, alterna sapientemente primi piani, controcampi e totali, dando così sempre allo spettatore l’idea esatta delle posizioni reciproche degli attori, quasi a stabilire e mostrare un dipanarsi tattico, quasi bellico, del rapporto tra i personaggi. La macchina da presa, nella stessa misura, diventa sempre più irrequieta, in piena sintonia con mimica e parole.

C’è un calo di tensione verso la metà del film e manca, forse, un finale netto degno del titolo, un massacro vero e proprio, ma quest’ultima è più un’opinione dettata da gusti personali che una vera critica. L’ultima scena esprime infatti un chiaro giudizio nei confronti del “sacrificio” nell’appartamento dei Longstreet.

In definitiva, un film che vale il prezzo del biglietto, dove gli attori mettono in mostra puro talento e Polanski ribadisce con fermezza un dominio tecnico e stilistico sulla macchina da presa. Da vedere.

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