8 Recensioni su

Captain Fantastic

/ 20167.5392 voti
Captain Fantastic
Regia:

Il voto sarebbe un 7.5 / 3 Gennaio 2018 in Captain Fantastic

Ottimo film con Viggo Mortensen, padre di famiglia un po’ fuori dagli schemi.
Infatti interpreta Ben Cash che vive con i suoi 6 figli in isolamento lontano dalla civiltà e dalla consumistica società moderna. Ben si occupa sia dell’allenamento fisico dei figli sia della loro cultura facendo loro da insegnante privato.
Quando la moglie Leslie, già ricoverata in ospedale da qualche tempo, muore, Ben dovrà affrontare il mondo moderno e dovrà decidere il destino dei figli.
Bel film su una famiglia fuori dalle convinzioni; la scelta di Ben potrà far storcere il naso a qualcuno, ma con il passare del film si impara a rispettare la sua decisione.
Il dibattito tra il padre di Leslie, Jack (Frank Langella) e Ben verte proprio su questo punto e per il comportamento di Jack non si potrà non simpatizzare e “tifare” per Ben. Si sorride ogni tanto ma il film fa anche riflettere.
Nel resto del cast da citare Steve Zahn e Kathryn Han nei panni di Dave e Harper (cognato e sorella di Dave).

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Davvero particolare ed emozionante / 11 Settembre 2017 in Captain Fantastic

Una famiglia campa in una foresta lontana dalla civiltà: il padre infatti, così come la madre, assente in quanto seriamente malata, rigettano lo stile di vita consumistico ed hanno da anni deciso di vivere nel cuore della natura, addestrando i loro sei figli a cacciare, a coltivare, ad allenare fisico in modo anche duro e mente, con letture non esattamente sempre adatte all’età, anzi. Ma così funziona, e i bambini adorano il padre (un grande Viggo Mortensen). Ma un giorno arriva la notizia che la madre, appunto ricoverata, si è suicidata. Con quello che è praticamente l’unico mezzo “tecnologico” (meglio dire meccanico) a disposizione, un vecchio pullman chiamato “Steve”, padre e figli si dirigono verso il luogo del funerale della moglie, nonostante per il loro stile di vita, siano osteggiati praticamente da tutti, in particolar modo dal suocero, che accusa direttamente l’uomo della morte della figlia. Sarà un particolare road movie di fatto, che porterà i ragazzi ma anche l’uomo stesso a fare i conti con ciò che avevano sempre rifiutato (e, spesso e volentieri, nemmeno conosciuto). Senza parlare troppo di finali, si può proprio dire che alla fine la scelta fatta dal bravo regista Ross sia molto buona. Un film comunque molto particolare, con un tema sicuramente originale ed inusuale, che sa mescolare davvero bene il dramma con l’umorismo (talvolta anche bello nero, che non fa mai male), ma che riesce soprattutto a colpirti ed emozionarti. Grandissima prova di Mortensen, che dimostra ancora una volta di essere un grande attore, molto bene anche i bambini, tutti ben caratterizzati ed anche loro bravi nella recitazione. Bella anche la fotografia tra l’altro. Un film che raccomando davvero a tutti, al di là della trama magari un po’ singolare (ma non per questo sbagliata, tutt’altro) è da vedere senza dubbi.

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Un’ambigua utopia / 24 Luglio 2017 in Captain Fantastic

È un’ambigua utopia quella che Ben Cash ha creato per i propri figli. Se i ragazzi eccellono in tutte le discipline dello spirito e del corpo, d’altro lato conoscono della vita soltanto «quello che è scritto sui libri»; manifestano qualche sprazzo ideologico non propriamente libertario (il maoismo!); non rifuggono da un comportamento parassitario come il furto, sia pure solo quando sono costretti a uscire dal loro eden forestale.
Ma nel bilancio finale le qualità sembrano superare i problemi, come quando la strana famiglia agisce come cartina di tornasole che mostra per contrasto tutte le magagne della società esterna: i brutali cuginetti ignoranti e schiavi dei videogiochi; il credito cieco accordato alla religione (nell’episodio del poliziotto che sale a bordo del pullman); l’ipocrisia della cerimonia funebre. Va comunque detto che il film evita una divisione manichea tra buoni e cattivi: non solo i Cash mostrano tutti i loro problemi, ma per contro la società esterna, e in particolare i genitori della moglie/madre defunta, non difetta di aperture generose.
Peccato che alla vicenda sia stato aggiunto un lieto fine che sembra quasi appiccicato come un ripensamento e che flette la più naturale traiettoria del racconto. Ben impara alla fine l’arte del compromesso ragionevole, ma lo preferivo quando faceva sortire dei doni inaspettati dalla sua audace follia.
Bravissimi Mortensen e tutti i giovani attori. Limare una decina di minuti di durata non avrebbe probabilmente nociuto al film.

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Quale scelta ? / 16 Febbraio 2017 in Captain Fantastic

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Possiamo scegliere davvero come passare la nostra esistenza ? E se si, ogni individuo può vivere la propria vita in un mondo libero ? Oppure, per quanto ribelli, siamo costretti ad adattarci, a prendere quello che il “sistema” ci offre, per modo di dire, in tutte le forme che può assumere ?
Ancora, è giusto scegliere per gli altri quando questi non possono ? E, se si, fino a che punto ?

Il film mi ha riproposto, personalmente, questa riflessione agrodolce, che mi lascia sempre addosso una strana sensazione, a metà tra il velo di malinconia e la compiacenza che si ha per se stessi quando una scelta appare giusta. Il compromesso, in fondo, è una manifestazione della saggezza.

Viggo Mortensen vive insieme ad i suoi figli nella foresta, ai margini della società. La moglie non c’è.
L’equilibrio della famiglia è fondato su ritmi e dinamiche che il padre stesso ha imposto a tutti e che i figli accettano ben volentieri: tanta natura, sopravvivenza, duro e costante addestramento fisico e mentale -su questo ultimo passaggio l’orologio si ferma un attimo perché i ragazzi studiano, con risultati encomiabili, materie come la storia, la filosofia, la medicina, la matematica e la fisica. Insomma, sono dei piccoli Einstein atleticamente pronti per le olimpiadi-.
Poi succede qualcosa, che spezza la routine. Scelgono di lasciare tutto e partire.
Al completo, salgono sull’autobus di famiglia -tra il “Magic Bus” di Into the Wild e il “Magical Mistery Tour bus” dei Beatles- e fanno il loro ingresso nell’America consumista dei centri commerciali, del petrolio, del cibo spazzatura e dei benpensanti.
C’è l’impatto traumatico, la forte e anche condivisibile critica sociale, l’ovvio disorientamento iniziale e la scoperta di essere a tratti affini a quell’ingranaggio tanto criticato e detestato, ma del quale non si può fare del tutto a meno.

Il film si sviluppa in maniera ordinata, piacevole. La trama mantiene bene, anche senza stupire, ma quel tanto che basta per lasciare qualcosa. Non è la storia la cosa più importante di questo film. Forse sono le domande che ognuno di noi può porsi dopo averlo visto, come spesso accade dopo aver ascoltato un racconto qualsiasi e come a me è successo. Lo sguardo di Viggo Mortensen, rivolto fuori dalla finestra, potrebbe essere la sintesi perfetta della risposta tanto cercata, ma lascio a voi ogni giudizio.

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7 e mezzo / 10 Gennaio 2017 in Captain Fantastic

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

L’idea del film è veramente affascinante, una sorta di utopia pedagogica, come molte ci sono state, di come creare attraverso l’educazione l’uomo perfetto. E’ possibile, in una società capitalistica, creare un’isola felice fuori dal mondo, fuori dal “sistema”? Secondo Ben, e la moglie, sì: decidono di vivere con la loro numerosa prole in una non ben precisata foresta americana, in mezzo alla natura. Oltre alla preparazione fisica, il programma di Ben prevede che i figli studino da mane a sera tutto lo scibile umano – dalla fisica teorica alla narrativa, alla giurisprudenza. L’interazione col mondo esterno si rivela più difficile del previsto.

Come ho scritto inizialmente, l’idea del film è affascinante, e offre spunto di riflessione. L’educazione impartita secondo Ben dovrebbe permettere ai figli una piena libertà da qualunque condizionamento, e condurre i bambini ad una perfezione critica e morale. E’ citata la Repubblica di Platone non a caso, nella lettera che la moglie di Ben ha inviato alla madre: il progetto del filosofo era di creare una società perfetta, guidata dai filosofi-sovrani, educati assieme tramite una rigida pedagogia, fatta di cultura e attività fisica, che li avrebbe guidati fino alla perfezione morale – e quindi fino al Bene da cui avrebbero attinto per guidare la Città. In questa utopia rappresentata nel film, i bimbi sono educati a riassumere in sé le tre funzioni della città ipotizzata da Platone, ossia il sovrano-filosofo, il guardiano, e l’agricoltore/cacciatore/commerciante. Questa utopia, in realtà aristocratica, è declinata nel mondo “di sinistra”, che prevede dunque Noam Chomsky come idolo, e un ritorno alla natura distante dalla civiltà alla Rousseau.
Detto tutto ciò, le tesi dell’Autore credo siano due, una più palese e una più sottile. La prima è ovviamente che allo scontro dei fatti i filosofi-sovrani si rivelano fragili e inadatti: le scene del figlio maggiore con le ragazze parlano da sole, il ragazzo sa, con sue parole, “tutto ciò che c’è scritto nei libri”, e basta. Più sottile è la seconda tesi, ossia che la rigida educazione imposta dal padre non porta tanto i figli allo spirito critico, quanto all’accettazione del reale dato, all’accettazione dei diktat paterni. Evidente nella scena in cui Ben pretende il confronto fra i suoi figli e i nipoti: i due insopportabili mocciosi, suoi nipoti, non sanno rispondere alla domanda di Ben, cosa che riesce a fare il figlio minore; eppure, il piccolo sembra più un automa, una scimmia ammaestrata che un essere umano. Non a caso, atti di “ribellione” (purché puerili, come voler continuare a giocare piuttosto che fare ciò che è richiesto dalla madre) li assistiamo più da parte dei due fratelli che dalla masnada di figli che si ritrova Ben, sempre ligi al dovere. Gli unici atti di ribellione – uno dei figli che decide di vivere dai nonni, fuggendo da quella vita; la decisione del figlio maggiore di iscriversi ad una Università – sono presto sopiti e abbandonati dai protagonisti. Il film termina con una via di mezzo tra la società pensata dal padre e la società consumistica, ma questa via di mezzo è stata ancora una volta una scelta del padre, per il bene dei figli.
Insomma, sembra suggerirci l’Autore, la scelta critica e libera non è tanto tolta da impedimenti esterni, come il capitalismo consumistico e “il sistema”, quanto dal proprio interno, dal “parricidio”, psicoanaliticamente parlando. E ciò, probabilmente, è possibile se è lasciata lavorare la fantasia, l’immaginazione, poco spiccata nei figli di Ben, ai quali è tolto ogni divertimento e “gioco”. In effetti ciò che appare mancante nell’educazione impartita nel cuore della natura è proprio il gioco, caratteristica fondamentale per la crescita. Non so se è un caso che i due cugini siano mostrati quasi sempre mentre giocano fra loro, o con i videogiochi, a differenza dei figli di Ben.
PS: Come risulta evidente, l’unico nome che mi ricordo è “Ben”. Per tutto il resto c’è …

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. / 18 Dicembre 2016 in Captain Fantastic

I bambini vedono per la prima volta un gruppo di persone obese, alcuni le prendono un po’ in giro, finché il fratello maggiore non dice:
– Noi non prendiamo in giro le persone
ma la più piccola risponde:
– Tranne i cristiani
Questa battuta vale tutto il film.

Io sono un autarchico / 13 Dicembre 2016 in Captain Fantastic

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Film calcolatore e ruffiano, eppure sufficientemente piacevole per via dei suoi toni indie, questo di Ross: spinge l’acceleratore sui sentimenti e stuzzica il desiderio di autarchia e anticonformismo che, in maniera più o meno latente e/o consapevole, risiede nel suo potenziale pubblico.
Non sempre mi piacciono le storie i cui protagonisti sono praticamente degli eroi che hanno compreso tutto della vita e la interpretano nell’unica maniera ritenuta corretta, con il resto del mondo che, letteralmente, ignora tale presunta retta via (al volo, a proposito di genitori e figli, mi vengono in mente American Life di Mendes e Tutti i santi giorni di Virzì): Captain Fantastic incede pericolosamente su tale ciglio, mostrando in maniera idilliaca e attraente la dura (tale perché minoritaria) disciplina culturale, morale e fisica a cui si attengono i suoi personaggi protagonisti, ma, per fortuna, sterza (abbastanza prevedibilmente) appena un pelo prima dello strapiombo, riportando in carreggiata temi e toni, adottando una salomonica e accomodante (benché castrante) via di mezzo, quando suggerisce che la moderazione e il compromesso non corrispondono a una dannazione.

Innegabilmente, il mestiere di genitore e di tutore è difficile: Ben (un eccellente Viggo Mortensen) è ossessionato dall’idea che i suoi figli debbano essere in grado di leggere e analizzare il mondo con la propria testa (il che, comunque, è tutto da valutare, dato l’indottrinamento propostogli) e cavarsela in maniera autonoma, a costo di risultare integralista a oltranza. Il fatto è che la forma di sopravvivenza suggerita dal suo stile di vita innegabilmente salutare e caratterizzato da un relativamente limitato impatto ambientale, rende i suoi figli, che non hanno mai avuto esperienza della società capitalista che aborrono, dei corpi estranei, facile oggetto di incolpevole emarginazione.
La vera utopia consiste nell’avere la possibilità di scegliere il grado di virtus in media res più consono alle proprie esigenze.

La sequenza conclusiva è molto significativa e, a suo modo, dolorosa: Ben è attorniato dai figli, in una cucina che, a dispetto del suo aspetto “campagnolo”, è pur sempre la stanza di un’abitazione tradizionale, indice di un adeguamento ai canoni della società imperante. Il protagonista ha modificato le proprie convinzioni confidando di fare il bene dei figli. L’uomo accetta da uno dei ragazzi proprio quei cornflakes aborriti fino a poco tempo prima. Poi, guarda fuori dalla finestra: non si comprende se sia sereno, come l’atmosfera generale tenta di suggerire, o se rimpianga la vita all’aria aperta e il fatto di non aver saputo essere coerente fino in fondo con i propri ideali.
Il dubbio è lecito e l’accettazione del compromesso assume un sapore molto amaro: a fronte di vari tornadi emotivi proposti con una certa insistenza, è forse questa amarezza finale il sentimento che, per quel che mi riguarda, il film mi ha suscitato.

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Capitan Utopia. / 14 Novembre 2016 in Captain Fantastic

Captain Fantastic è essenzialmente una commedia che, strizzando l’occhio al genere indie, e al contempo, e soprattutto, a una cultura hippie, mai eradicata dallo stereotipo anticonformista statunitense, tratta temi alquanto delicati e riflessivi, come quello dell’adolescenza e di conseguenza dell’educazione, passando per borghesia e proletariato, nonché per l’economia di mercato, col suo fervente e dissonante capitalismo.
Matt Ross banalizza e allo stesso tempo denuncia tali aspetti, anche grazie a una sontuosa sceneggiatura che ne impreziosisce i contenuti.
Quindi una critica tutt’altro che silenziosa quella che lancia tramite il suo caratterista più importante, ossia Viggo Mortensen ( immensa interpretazione ), che ha l’onere, ma anche il dissacrato piacere, di portarne come un tedoforo la fiaccola.
Le venature drammatiche sono affrontate con piglio ironico e intelligente, anche se, a mio avviso, a dispetto di una fiorente e opulenta cultura ( letteraria e non ) ostentata, manca di fantasia e creatività, se non quella legata a una elaborata funzione cognitiva, o mnemonica.
In definitiva, un intenso viaggio per scoprirsi genitori, e anche un po’ figli, cercando di ritrovare quella naturale empatia tra uomo e natura.

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