7 Recensioni su

Café Society

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Registicamente un Woody Allen d’altri livelli / 13 Novembre 2020 in Café Society

Ho guardato Café Society con delle aspettative nella media; adoro Woody Allen e ogni suo film è un piacere guardarlo, ma è anche vero che il Woody Allen degli ultimi film non è il Woody Allen di un tempo eppure questo film mi ha piacevolmente stupito. Ultimamente Woody è capace di sfornare film migliori di quelli dei primi 2000.
Trama semplice ma simpatica, personaggi vari e carismatici con dialoghi sempre al top come solo Woody Allen sa scrivere. Ma ciò che veramente ha catturato la mia attenzione e mi ha spinto a dargli un 8 è stata la regia di Woody e la fotografia di Vittorio Storaro, In questo film siamo davvero ad alti livelli con un Woody che sembra che invecchiando migliori come regista e un Vittoria Storaro che fa davvero sognare fotogramma per fotogramma, e in alcuni istanti è capace di farti viaggiare indietro nel tempo agli anni 30 con il suo tocco delicato. Il talento di entrambi si ripeterà nel film successivo: La ruota delle meraviglie. Woody Allen e Vittorio Storaro sono una coppia che piacevolmente stupisce, che invecchia ma non invecchia.

Menzione particolare a Jesse Eisenberg che si conferma essere un buon attore, qui con una certa similarità allo stile nevrotico di Woody Allen; e anche a Kristen Stewart che Woody Allen ha avuto la capacità di dirigere bene risultando piacevole e a tratti anche affascinante.

Il finale è registicamente poetico.

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L’oro di Storaro, il genio di Allen / 26 Aprile 2017 in Café Society

Solo l’influsso magico di Woody Allen poteva dare a Jesse Eisenberg, attore che reputo tra i peggiori in circolazione, l’occasione giusta. La Stewart è freddina assai, non stravedo neanche per lei. E se vogliamo nemmeno la innegabile sontuosità della fotografia di Storaro, qui intenta a spruzzare oro liquido sui volti femminili, non s’intona granché alla narrazione alleniana. Pur con tutte le riserve del caso, la scrittura di questa storia è ancora una volta un esempio cristallino della renaissance senile di questo genio immortale.

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Danza di WA / 7 Novembre 2016 in Café Society

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Puntuale come la padrona di casa a ritirar l’affitto, ma non la mia ché son io a doverla inseguire, ecco come anno ogni ritornare WA a rimirarsi allo specchio.
Bobby, che il tizio che fece Zuck, negli anni ‘30 molla NY e va in cerca di fortuna a LA, dove ha uno zio (Steve Carrell) produttore con le mani in pasta. E che pasta! Ehm, lo zio, scocciato, tra ville e champagne e urla WEST COAST!!! e attori bizzosi, lo riceve e gli dice “toh, vai a conoscere la città con questa mia segretaria”. Che è una figa stratosferica vestita con gonnellini anni porno30, ed è Kristen Stewart la quale, a differenza che nella serie Vampiretto (sì sì bla, lo so, Vampiretto era un’altra cosa ed era una figata) dove non gliel’appoggiava mai nessuno, qui si bomba tutto e tutti. Perché è stra… ah no già l’ho detto. As a matter of fact, they fall in love, però insomma lei è anche l’amante dello zio, e tra lo sfigato e il superproduttore va dove deve andare. Bobby piangendo urla EAST COAST!!! e se ne torna a NY, dove coi soldi del fratello gangsterucolo dirige il locale da cui il titolo. Che è so cool, e ci vanno tutti i meglio, i jazzisti, le gnocche, e se ne sposa una. Passano gli anni, e passano anche Vonnie (la tipa di prima) e lo zio a trovarlo nel suo locale. Ovviamente lei e lui finiscono a girare soli, ovviamente si amano, e ricordano di quando quanto si ama(va)no, ma non si può. Perché whatever. Whatever è ormai la conclamata filosofia di WA, basta che funzioni, basta che si scopi, basta che ci amiamo. WA, aggrappato al treno della memoria e dei ricordi tipico dell’over 70, sempre più chiuso nel suo mondo dove c’è il jazz dall’inizio alla fine, le protagoniste son tutte gnocche e le relazioni piuttosto inverosimili ma come al vento fazzoletti. Ed è una danza, e whatever, e le battute sugli ebrei e bom. Nel senso che probabilmente WA da questa spirale non uscirà mai più, e farà ogni anno un film che varrà la pena andare a vedere anche se non del tutto, perché sarà uguale a dopoprima, però whatever, e temo non ne uscirà più; perché tutto è un soffio e vivamus atque amemus.
Il resto, le ambientazioni, il jazz, gli sfavillanti anni dell’oro, delle bretelle e dei calzoni sopra l’ombelico e occhiali spessi, è impeccabile.
NB: WA non è whatsapp.

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Meh / 6 Ottobre 2016 in Café Society

Molto “Society” e poco “Cafè”. La fotografia sublime di Storaro è la sola cosa a far andare avanti il film e che permette ad Allen di incassare una sufficienza. La trama è “non pervenuta”, ma la sceneggiatura risulta piacevolmente scorrevole, e le massime che Allen butta sempre lì, che a me sembrano sempre saccenti e messe forzatamente in un discorso che poi perde di spontaneità e naturalezza, ma che tanto lo fanno gongolare per quanto è intelligente, sono ridotte al minimo, quindi un punto in più da parte mia.

Bene Eisenberg in Woody Jr., male Eisenberg come attore con una sua personalità. Anche se la Stewart non mi ha mai convinto e non mi piace, mantiene il suo modo di essere nel suo personaggio, che diventa sì originale, perchè la cosa più ovvia sarebbe stata caratterizzare Vonnie come la Daisy del Grande Gatsby, quindi l’ho apprezzata per questo, ma rimane comunque la stessa interpretazione che ci propina ogni volta.

Per farla breve, bene o male si salvano tutti, e io NON sono un fan di Woody Allen. Quindi magari chi ci tiene ne rimarrà deluso.

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Nostalgia / 5 Ottobre 2016 in Café Society

Allen è ciò che rimane di un cinismo che, molto differente da quello che è diventato moda, non dimentica di essere acuto.
Pur essendo molto cambiato nel tempo, diventando da sprezzante nella sua patologia, a nostalgico e (per certi versi) accomodante, non ha fortunatamente perso l’acume per scavare, attraverso una storia banale nel suo percorso, nei sentimenti viscerali che traboccano nei personaggi. L’eleganza del contesto dei primi decenni del ‘900 accompagna esaltando una nostalgia che è prima sostanza (e protagonista del film), poi forma, con una sincronia di risultato che ne aumenta la portata.
D’altro canto Cafè Society fa perno proprio sull’aspetto emozionale, a dispetto di lavori passati che su tutt’altro puntavano, con il risultato di “banalizzarsi”, farsi meno autoriale scansando l’intellettualismo: la conseguenza di una vecchiaia non troppo serena per Allen?
Io personalmente apprezzo questa deriva alleniana del suo ultimo periodo. Sembra quasi che stia creando tutto ciò che un tempo aveva sapientemente distrutto, o snobbato, un po’ chiedendo ammenda, un po’ (come risultato) prendendosi autoironicamente per i fondelli. Pare stia avendo una filmografia al contrario, e suoi vecchi film cult lì a stroncare, criticamente, molte delle ultime opere; è quantomeno divertente.
Belli i costumi, belle le musiche, e una fotografia quasi sempre virata sul giallo, assieme alla spinta sui bianchi e abbassamento di nitidezza in alcuni ritratti della Stewart chiamano ancora gran voce la protagonista: nostalgia, nostalgia, nostalgia.
E il film è riuscito a mettermi in balia dell’altalena emotiva, lasciandomi quel senso di amaro fastidio che è l’ottica per ripercorre a ritroso tutto il film, una volta conclusosi.

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Fiacco / 2 Ottobre 2016 in Café Society

Narrativamente, il film mi è parso alquanto fiacco, privo di mordente.
A mio parere, la principale attrazione di questo lavoro di Allen (e, forse, l’unico motivo che valga davvero la visione della pellicola) è costituita dalla sfolgorante rappresentazione di un passato esteticamente molto interessante come è quello degli Anni Trenta a stelle e strisce: i bellissimi abiti firmati da Suzy Benzinger (costumista di Allen in altri 5 lungometraggi) e la splendida fotografia di Storaro (con la sua elegantissima esaltazione delle terre, dei mogani, degli ottoni, degli ori e degli avorii in scena) creano un’atmosfera patinata da sogno.

Per il resto, pur avendo apprezzato tutte le prove attoriali (ad eccezione di Eisenberg che, negli evidenti panni di un alter ego di Woody Allen, non mi ha convinto affatto, poiché mi è parso alleniano in maniera artefatta, molto lontano, per esempio, dal lavoro di Larry Davis di Basta che funzioni), stupendomi sinceramente per l’appropriatezza fisica delle protagoniste femminili, la Stewart e la Lively, attrici che, finora, non mi avevano mai conquistata, Café Society non ha saputo divertirmi o coinvolgermi in alcuna maniera e a nulla, in questo senso, vale la pur non banale “morale” contenuta nella battuta-chiave del film (più o meno, “La vita è una commedia, ma scritta da un commediografo sadico”).

Rimandato.

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sufficiente, niente di più / 1 Ottobre 2016 in Café Society

Un film carino, ma che non supera la sufficienza. Woody Allen è bravo a ricostruire gli ambienti dell’epoca, magari i dialoghi nella prima parte del film a volte risultano un po’ stucchevoli, e il finale non ha proprio alcuna conclusione, nonostante io sia un fautore dei finali aperti, ma in questo sembra che abbiano terminato improvvisamente la pellicola. Peccato. non lo sconsiglio, ma neppure lo consiglio.
Nota:
Vista tanta attenzione ai particolari, un’osservazione tecnica, negli anni ’30 dubito fortemente che il calcestruzzo fosse così fluido come lo si vede nel filmato, ma queste sono solo seghe mentali da ingegnere.

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