Altman e la destrutturazione del western / 5 Gennaio 2017 in Buffalo Bill e gli indiani

Dopo aver massacrato la tradizione classica del film di guerra con M*A*S*H, Altman prosegue la sua opera di destrutturazione dei generi volgendo lo sguardo (ancora una volta dopo I compari) verso il western.
Vittima designata è questa volta un protagonista acclamato dell’epopea come Buffalo Bill, ritratto impietosamente nella sua venalità e frivolezza.
Il leggendario cacciatore di bufali dell’Iowa esce davvero malissimo dal confronto con il capo degli indiani Sioux Toro Seduto, che dovrebbe diventare personaggio di punta del suo spettacolo itinerante e che invece gli dà una lezione di spiritualità e, soprattutto, di libertà nella prigionia.
Buffalo Bill vorrebbe demolire la dignità di Toro Seduto, che invece riesce a mantenerla fino all’ultimo.
Una pellicola decisamente sui generis ed interessante sotto vari profili, uscita nel decennio d’oro di Altman, subito dopo un capolavoro come Nashville.
Il regista di Kansas City è stato protagonista indiscusso della New Hollywood e fu tra gli Autori più prolifici in quegli anni Settanta che cambiarono completamente il panorama cinematografico americano.
Questo film rappresenta una pellicola forse tra le meno conosciute di Altman ma tra le più apprezzate dalla critica, trionfatrice al Festival di Berlino ove venne premiata con l’Orso d’oro.
Indimenticabile il lungo monologo finale in cui il Buffalo Bill di un più che discreto Paul Newman sfoga le sue frustrazioni di fronte al fantasma silente di Toro Seduto, che si sposta continuamente all’interno della stanza.

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