Un coccodrillo in banca. / 19 Agosto 2014 in Brivido di sangue

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Quello interpretato da Law è un vampiro differente da molti altri che sono stati protagonisti di film a tema: oltre a cibarsi di sangue umano, ad avere una certa predilezione per gli oggetti d’antiquariato, ad avere un’intelletto particolarmente sviluppato, a saper fare due cose contemporaneamente (nello specifico, scrivere con una mano e disegnare con l’altra) e ad avere un cognome slavo, si comporta come un uomo qualsiasi.
Inoltre, cosa di non poca importanza, pur non temendo la luce del sole, deo gratia, non sbrilluccica.
Si riflette negli specchi, non ha bisogno di essere invitato per entrare in una casa, non teme i crocifissi, anzi.
Insomma, è un vampiro molto interessante, sulla carta.

Peccato che, a conti fatti, intrighi ben poco e che la sua estrema peculiarità (nutrirsi del sangue di sole donne all’apice dell’infatuazione per lui, perché, così, il sangue è davvero “proteico”, in quanto veicolo di un’emozione umana portata all’estremo) non lo salvi da una certa incorporeità narrativa che avrebbe potuto trovare gioioso fondamento e sviluppo in un approfondimento della sua natura.
Ciò che incuriosisce moltissimo nella figura del vampiro, infatti, è la sua genesi, la sua storia, gli antefatti che precedono la messinscena. Di questa creatura nulla si apprende, se non il profondo dolore inflittogli dalla solitudine.

Ecco, la sua condizione di paria, di unicuum sociale e storico, efficacemente espressa dalla battuta “sono un coccodrillo che ha bisogno di un lavoro, di un conto in banca”, è l’elemento più interessante del film ed è quello che permette allo spettatore di restare incollato allo schermo fino alla fine: come gestirà, questa creatura, la sua inconciliabile natura di predatore con il desiderio di amare ed essere amato?

Peccato che il film si risolva in maniera tanto sciatta, perché tale prolifica promessa analitica avrebbe potuto rendere indimenticabile questa figura vampiresca in cui, è lampante, il melting pot culturale del regista, cinese di origine, ma inglese di formazione, si esprime non solo nella passione del protagonista per le cineserie, ma soprattutto nell’interessante, ma poco sviluppata scelta del ritmo narrativo.

Interessante e puntuale il commento musicale, buona la fotografia. Inudibile il sonoro e pessimo il doppiaggio italiano.
Benché curiosamente bella (a tratti, mi ha ricordato molto una giovane Jessica Lange, sarà per via degli occhi o della mobilità della bocca, non so bene), ho trovato letteralmente inguardabile l’attrice Elina Löwensohn.

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