Recensione su Bright Star

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non sarò oggettiva / 17 Maggio 2011 in Bright Star

La Campion sembra assumere il ruolo del fratello di Fanny, muto e sempre al fianco della giovane.
Rigoroso, meticoloso nella cura dei dettagli è estetizzante e pieno di fascino, astratto e concretissimo: c’è una passione vibrante, la macchina da presa non vi interviene mai, mai si distacca dal rappresentare quadri che cristallizzano cosa accade. Ecco allora gli alberi e i fiori, i prati e gli interni che prorompono sullo schermo e che si coniugano ai personaggi quasi indissolubilmente, ecco i silenzi.
Per questa volta il maschile ha un suo pieno ruolo, non c’è solo Keats il suo amore e la sua poesia, ma l’amicizia cameratesca di Brown, un misto di possesso, gelosia, mecenatismo e misoginia, ci sono i circoli poetici tutti virati al maschile.
Eppure è Fanny che è il perno della vicenda, che sfida i rituali del tempo(c’è una siderale distanza sociale fra i due), che ama ed è riamata con tutto il suo egocentrismo e la sua frivolezza.
C’è l’inquadratura di Fanny sul letto che guarda la finestra in cui si rivela l’innamoramento: è una inquadratura a la Hopper, lo sguardo perduto su ciò che c’è fuori, mentre la tenda si gonfia, che è uno sguardo su ciò che c’è dentro.

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