Recensione su Blue Jasmine

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L’amaro ritorno negli Usa di Woody Allen / 17 Gennaio 2014 in Blue Jasmine

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Sono contenta che Woody Allen sia ritornato in America dopo la sua lunga parentesi europea.
Ma, soprattutto, sono contenta che abbia ricominciato a fare film come Blue Jasmine, in cui il regista americano ha anzi, a mio avviso, ripreso alcuni dei topoi ricorrenti del suo cinema: la dicotomia New York- California (a lui cara già ai tempi di Io&Annie), la figura di un (o in questo caso una) newyorchese un po’ snob e vagamente nevrotico, dialoghi brillanti e musica jazz di sottofondo.
Jeanette, detta Jasmine (una Cate Blanchette al limite della perfezione), è una bellissima ed affascinante donna di classe improvvisamente caduta in disgrazia da quando il ricchissimo marito Hal (Alec Baldwin) è stato arrestato per frode e, successivamente, si è suicidato in carcere.
Fin dalle prime scene, i miei sentimenti verso questo personaggio sono stati un misto di irritazione ed empatia: da un lato, infatti, appare evidente come la donna sia psicologicamente instabile e distrutta dalla piega presa dalla sua vita, dall’altro, tuttavia, il suo snobismo nei confronti dell’unica persona rimasta ad aiutarla, ovvero la sorella adottiva Ginger (Sally Hawkins), mi hanno impedito di simpatizzare del tutto con lei.
Contemporaneamente alle vicende della vita di Jasmine a partire dal suo trasferimento a S. Francisco- dove, appunto, vive la sorella- viene raccontata, tramite flashback, la vita della donna con il marito Hal, a New York, in un ambiente di ipocrisie ed apparenze e in cui il suo unico legame affettivo sincero sembra essere con il figliastro Danny (Alden Ehrenreich).
Giuro di aver provato con tutta me stessa ad immedesimarmi nella bella ed elegante Jasmine e a comprendere la sua frustrazione nel trovarsi improvvisamente catapultata nello squallore della vita di Ginger in California; la figura estremamente negativa del marito, un carattere sicuramente fragile dovrebbero servire a giustificare il suo atteggiamento verso il resto mondo.
Ho provato addirittura a cercare di leggere come segno di affetto, e non di snobismo, il suo continuo spingere la sorella a trovarsi un uomo migliore (infatti Jasmine non aveva mai apprezzato né l’ex marito né l’attuale compagno di Ginger).
Tuttavia, se la sorella sembra in grado di trovare la felicità (o forse, semplicemente, si accontenta?) anche nel suo squallido appartamento di San Francisco, Jasmine è come una vittima delle sue stesse aspettative e di quella sterile ostentazione imparata nel corso della sua agiata vita a Manhattan: nel finale del film la vediamo completamente sola, provata sia mentalmente che fisicamente, senza che sia riuscita a rifarsi una vita e, anzi, ormai priva di qualsiasi affetto. Forse solo allora sono veramente riuscita ad empatizzare con la sua sofferenza…
Un film malinconico e, in fondo, pessimista, che riesce perfettamente a descrivere gli stati d’animo e le nevrosi dei suoi personaggi, in particolare di Jasmine, in cui eleganti non sono solo gli abiti indossati dalla protagonista, ma, a mio avviso, la stessa atmosfera, gli scorci di New York e San Francisco, i dialoghi, il perenne contrasto tra le due sorelle (evidente ma mai troppo forzato, almeno a livello estetico).
Insomma, nel caso non si fosse capito, un film che ho decisamente apprezzato…

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